“Dopo l’omicidio di mio figlio mi venne consegnato il suo portafogli, dal quale saltò fuori un biglietto in cui c’era scritto che se gli fosse successo qualcosa bisognava andare a guardare nel suo armadio. Alcuni funzionari di polizia presero mia figlia minore e andarono in casa di Nino, nell’armadio trovarono degli appunti e li presero, ma non mi è mai stato detto cosa ci fosse scritto o cosa riguardassero”. È quanto ha detto Vincenzo Agostino, padre del poliziotto Antonino Agostino ucciso il 5 agosto ’89 insieme alla moglie Ida Castellucci, che era in gravidanza, deponendo stamattina nel nuovo processo per la strage di Capaci del 23 maggio ’92, in corso davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta.
“Ricordo che il giorno dopo la morte di mio figlio arrivarono anche il capo della polizia Parisi e l’allora ministro dell’ Interno – ha detto Agostino – io chiedevo spiegazioni su quello che avevano trovato nell’armadio di Nino, ma loro si limitavano a darmi pacche sulle spalle e a dirmi di non preoccuparmi. Se non ricordo male, tra i funzionari che si recarono a prendere le carte di mio figlio c’erano un certo Guiglia e un certo Di Bella. Sono passati 27 anni e non so nulla, ricordo che prima di chiudere la bara di mio figlio giurai che non mi sarei più tagliato la barba se non avessi ottenuto verità e giustizia”.