Ero andato al cinema per assistere ad una meravigliosa sequenza in ‘3D’ di scene fuori da ogni umana immaginazione : sconvolgenti abissi marini e fantastiche creature soffianti ormai appartenenti al nostro onirico quotidiano. Niente di tutto questo.
Ci sono cascato, come al solito, e ho creduto ai trailer che sono montati, progettati e, sottobanco, messi in distribuzione dal Gatto e la Volpe in versione imbonitori che fanno il lavoro sporco al posto dei produttori che spesso si vergognano dei trailer stessi. Ma nessuna delusione.
Il film ‘Le origini di Moby Dick’ è una magistrale opera di un regista che ha al suo attivo film come’ Cocoon’, ‘A beautiful mind’ e ‘Apollo 13’ e al suo passivo film come ‘Il codice da Vinci’ e’ Angeli e Demoni’ e quindi ha tanto di quel mestiere che può trasformare mercurio in caviale. E pensare che da piccolo recitava in Happy Days!
Le scene di lavoro ordinario su una baleniera dell’8oo sono ipnotiche e ti fanno toccare con mano quanto tu sia lontano da un vero marinaio. Ma torniamo alla balena, che con i suoi immensi colpi di coda vuole mettere in discussione il ruolo dell’uomo sul pianeta, gettando sul tavolo il tema del chi ce l’ha più lungo, e ricevendo ai nostri giorni la risposta certa che più lungo ce l’hanno i giapponesi che se ne infischiano della corte dell’Aia che vieta la caccia al glorioso cetaceo. Ma nel 1800 la suspence c’era davvero perché la lotta era ad armi pari: uomo con arpione e balena con le sue 180 tonnellate!
Ed è proprio lì che esplode l’enorme caleidoscopio dei sentimenti che albergano l’animo umano. Uno a caso: l’insopportabile senso della sconfitta e l’odio che si scatena verso chi l’ha provocata. Una continua lotta che logora vite e disperde energie tali che da sole potrebbero ribaltare le sorti del pianeta. Ma il circolo vizioso del rifiuto di qualcosa che ci impedisce di raggiungere un nostro obiettivo si innesca automaticamente e ci impone di reagire con tutte le forze disponibili, dimenticando nel frattempo che se impegni tutte le tue forze sul fronte nord (del lavoro ad esempio) ti scopri sul fronte sud (della famiglia per esempio) dove la fanteria di terra del nemico entra e ti spiana la vita come una piadina.
Il primo assistente del capitano, l’interprete Chris Hemsworth, ex ‘Thor’, si rende conto che ha una vita solo dopo essere sopravvissuto ad un naufragio alimentandosi con i corpi dei marinai morti. Suoi compagni di sventura e amici. Cillian Murphy è il migliore fra gli interpreti, anche se la sua è una parte secondaria ma la profondità di questo attore è tale che ogni suo intervento dà credibilità all’opera. E rende credibile lo sforzo di un uomo che di fronte ad un oceano in tempesta stringe i denti e su una scialuppa di sei metri tira arpionate a mostri di 30 metri rischiando di macinarsi fra le cime ad ogni piè sospinto. La paura, che diventa terrore, viene sublimata e relegata negli sguardi attoniti e angosciati di chi ha visto la morte e la ha anche mangiata.
E lo sforzo titanico di un uomo contro la natura e la sua incosciente ossessione di raggiungere un obiettivo di sopravvivenza mette in secondo piano tutto il resto, dalle balene sempiterne vittime alla rigida gerarchia marinara. E questo sforzo è continuo ed estenuante come quello sopportato da chi, dopo anni di lavoro pesante in fabbrica, viene licenziato e caricato di una vita che non può materialmente più reggere sulle proprie spalle. Perché in fondo se hai un minimo di materia grigia in movimento ti rendi conto che quei marinai ti rappresentano con le loro arroganze, le loro paure, le loro aspettative e soprattutto con le loro visioni della vita sempre costrette da fattori esterni. E il senso del film si rivela nel suo intento etico-didattico: tornate a casa dalle vostre mogli e dai vostri figli e baciateli, come il protagonista nel finale del film, perché forse è l’unica cosa che da vero spessore alla vostra vita di cricetini nella ruota.