Pesanti accuse arrivano dalla Russia nei confornti della Turchia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan “e la sua famiglia” nonché “le più alte autorità politiche” della Turchia “sono coinvolti” nel “business criminale” del traffico illecito di petrolio proveniente dai territori occupati dall’Isis in Siria e in Iraq. Lo ha affermato il viceministro della Difesa russo, Anatoli Antonov, secondo il quale i proventi di questo traffico ammontano a due miliardi di dollari l’anno.
Le dichiarazioni arrivano a pochi giorni dall’abbattimento di un jet russo nei cieli della Turchia.
Rudskoi ha poi posto l’accento sull’intervento militare russo in Siria, dove i raid aerei hanno dimezzato i proventi del traffico illegale di petrolio da parte dell’Isis. Secondo il vice capo di Stato maggiore, i profitti sarebbero scesi “nel giro di due mesi” da tre milioni di dollari al giorno a 1,5. “Negli ultimi due mesi – ha aggiunto – in seguito ai raid dell’aviazione russa sono stati distrutti 32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne”.
Non si è fatta attendere la replica del presidente turco. “Nessuno può lanciare calunnie contro la Turchia sull’acquisto di petrolio dall’organizzazione terroristica Daesh”, ha detto Erdogan. “Nel momento in cui potranno provarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse”, ha aggiunto.
Per gli Usa si tratta di accuse infondate: “Rifiutiamo categoricamente l’idea che la Turchia stia lavorando con l’Isis, è totalmente assurdo”. Il portavoce del Pentagono, Steve Warren, ha commentato così le accuse di Mosca.