Il 10 dicembre si insedia alla presidenza dell’Argentina Mauricio Macrì, esponente del partito liberale PRO, che ha vinto le elezioni del 22 novembre. Termina così il primato dei Kirchner, prima Nestor e dal 2007 Cristina. Daniel Scioli, candidato peronista da lei appoggiato, è stato sconfitto di stretta misura riportando il 48% dei voti. La vittoria risicata consegna ai liberali solo una maggioranza relativa in Parlamento e li costringerà a trattare con i peronisti su molti temi.
L’era Kirchner ha segnato alti e bassi per il paese. Quando Nestor va al potere, nel 2003, l’Argentina si sta rapidamente sollevando dal default finanziario di due anni prima e cresce con tassi di oltre il 10%. Povertà e disoccupazione via via scendono, l’Argentina è ora al secondo posto nel Sud America per occupazione, anche se un terzo degli argentini lavora in nero. In tutti questi anni, i Kirchner sostengono una politica di massicci aiuti statali e privatizzazioni, con un aumento del debito pubblico e dell’inflazione. La contabilità pubblica ed i dati statistici nazionali opachi pongono sovente il paese in conflitto con le autorità monetarie internazionali e ne fanno un terreno ideale per speculazioni finanziarie ad alto rischio.
L’economia argentina è nel complesso solida: agricoltura, allevamenti, ricchezze minerarie ed una discreta base industriale ne fanno la terza potenza economica sudamericana dopo Brasile e Messico; la crescita è rallentata ultimamente a seguito della crisi del Brasile, principale partner commerciale degli argentini, e del rallentamento cinese. Ma l’inflazione rimane il grande problema irrisolto; nel 2014 è stato svelato il tasso reale, vicino al 30% contro il 9% dichiarato negli anni precedenti; nello stesso anno il paese è andato ancora in default sul debito, per il mancato accordo di ristrutturazione con gli investitori internazionali.
Le elezioni di Macrì segnano una discontinuità importante con il passato politico argentino: è infatti la prima volta negli ultimi cent’anni che viene eletto presidente qualcuno che non è peronista o un un generale dell’esercito. Macrì è un liberale nel senso europeo del termine, cioè propugna politiche economiche per la liberalizzazione del mercato, tradizionalmente sovvenzionato ed imbrigliato dallo statalismo peronista. Macrì ha insistito in campagna elettorale sulla ripresa economica argentina come priorità per la sua presidenza. Non sarà facile, considerata la situazione in Brasile e Cina. Inoltre il paese non ha praticamente accesso ai mercati finanziari internazionali: sarà un’impresa riconquistarne la fiducia. Subito dopo la vittoria ha dichiarato che vorrà uno ‘sviluppista’ al ministero delle Finanze, cioè qualcuno che favorisca crescita, impiego ed esportazioni, ma si occupi anche di equilibrio di bilancio e di onorare il debito pubblico. Tra gli obbiettivi del nuovo presidente anche l’eliminazione graduale dei controlli sui capitali e sui prezzi messi in atto quando i Kirchner erano al potere.
La vittoria dei liberali è stata accolta a livello internazionale con reazioni per lo più positive; Dilma Rousseff ha subito invitato Macrì in Brasile, mentre John Kerry si è detto pronto a lavorare da subito con il nuovo governo argentino. Il programma di politica estera del nuovo presidente mira a riavvicinare l’Argentina a Stati Uniti ed Europa; dovrà ricucire i rapporti con gli Stati Uniti, scottati dal recente default del debito che ha colpito degli hedge fund americani, e con la Spagna, che non ha digerito la nazionalizzazione della compagnia petrolifera argentina YPF controllata della spagnola Repsol. Vuole anche iniziare un dialogo nuovo con la Gran Bretagna, superando l’annosa questione delle Falklands.
In Medio Oriente Macrì mira a rinsaldare i rapporti con Israele, laddove i Kirchner avevano tenuto legami forti con l’Iran, in crisi di appoggio internazionale per la crisi del nucleare. Nel panorama regionale Sud americano, la vittoria dei liberali in Argentina rappresenta un’altra crepa nell’alleanza delle sinistre che lo ha dominato negli ultimi 10 anni: un blocco che include anche Brasile, Bolivia, Venezuela e Cuba. Oltre alla sconfitta dei peronisti argentini, il Partito dei Lavoratori al governo in Brasile è nella bufera per una serie di scandali legati alla corruzione; Cuba si sta aprendo al mondo occidentale; la Bolivia di Evo Morales sta passando dal populismo economico ad un modello di sviluppo più equilibrato e liberale; infine il regime chavista di Nicolas Maduro in Venezuela mostra crescenti segni di insostenibilità economica e di disaffezione popolare; Macrì intende chiederne l’espulsione dal Mercosur, un’associazione di libero scambio fra paesi sudamericani, per violazioni dei diritti umani. Macrì tenterà anche di avvicinare il Brasile al blocco dell’Alleanza del Pacifico, composto da Messico, Colombia, Perù e Cile, per riequilibrare i rapporti in Sud America.
Insomma, un programma di ambiziosi cambiamenti. In una parola, cosi si è espresso Macrì quando gli è stato chiesto cosa volesse cambiare in politica estera: “Tutto!”