Gli attacchi terroristici di Parigi hanno provocato una forte reazione a livello nazionale ed internazionale ma un problema globale come quello del terrorismo islamista non ha soluzioni “nazionali”. D’altro canto, in un ambiguità tipica dell’attuale globalizzazione, dove non esistono eserciti o forze di intelligence e di polizia globali, sono di fatto i singoli stati – con le loro risorse militari – a doversi coordinare tra loro per rispondere a questa minaccia.
E’ ormai chiaro che Stati fragili e falliti diventano il focolaio di organizzazioni terroristiche che trovano spazi ideali per prosperare e trovare nuove reclute: è un esempio evidente ed ormai lontano il caso di Al Qaeda che ha trovato nell’Afghanistan dei talebani protezione e copertura mentre pianificava l’11 settembre. Ed oggi, nel mondo arabo, sono ben quattro gli Stati in queste condizioni: oltre alla Siria e all’Irak, in parte controllati dall’Isis, anche la Libia e lo Yemen vivono un’atmosfera di costante guerra civile.
Forse durerà dei mesi in Francia lo stato di emergenza, che è stato votato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari e approvato da gran parte della popolazione. Quest’unanimità è espressione del sentimento di choc della grande maggioranza dei francesi, un sentimento paragonabile allo smarrimento degli americani di fronte alle macerie delle Twin towers dopo l’11 settembre. Fra i due paesi e le due situazioni ci sono molte similitudini e rischi comuni. Dopo gli attentati di New York, George W. Bush attaccò l’Afghanistan dei talebani e di Al Qaeda, con il pieno supporto della comunità internazionale. Commise poi una serie di disastrosi errori che pregiudicarono gravemente l’immagine dell’America nel mondo: dall’invasione dell’Iraq nel 2003 per distruggere armi di distruzione di massa mai trovate al restringimento delle libertà individuali negli Stati Uniti con il Patrioct act.
La Francia eviterà eccessi simili se i suoi leader riusciranno ad isolarsi dal clima di isteria di questi giorni e a ragionare su una strategia di prevenzione di lungo periodo. Inchieste ed analisi sul territorio potrebbero aiutare a capire perché migliaia di giovani delle banlieues si sono radicalizzati e sono andati a combattere per il califfato in Iraq e Siria; si dovrebbero identificare i modi più efficaci per contrastare il reclutamento informatico o delle cellule radicali innestate nelle comunità islamiche. I leader francesi dovrebbero anche interrogarsi sulle linee della politica estera in Medio Oriente, alla luce della pericolosità dell’Isis; chiarire il senso della stretta alleanza con le potenze regionali sunnite dell’Arabia Saudita e del Qatar, che hanno forti responsabilità per le derive violente di parte dell’Islam contemporaneo; verificare la sostenibilità della posizione francese su Assad, accusato di sterminio ai danni della sua popolazione, ma il cui coinvolgimento sembra necessario per qualsiasi ipotesi di transizione politica in Siria; infine riconsiderare i freddi rapporti con l’Iran, potenza sciita che sta facendo molto sul campo per combattere i fanatici del califfato.
Noi europei siamo ormai abituati a vivere una vita pacifica in un continente pacificato da settant’anni. Ma questa situazione potrebbe cambiare; non si può infatti scappare dalla propria geografia e il Medio Oriente violento, preda di guerre civili e terrorismo, è molto vicino e ha mostrato la capacità di entrare nel nostro tessuto sociale. D’altro canto siamo ancora lontani da un Europa unita sulla difesa; la Nato può aiutare ma gli Stati Uniti di Obama sono relativamente isolazionisti, temono un nuovo coinvolgimento forte in Medio Oriente e considerano quelli dei migranti e del terrorismo problemi europei.
Gli attacchi di Parigi forzeranno gli europei ad uscire dalle loro remore in materia di difesa e politica estera comune? Si riuscirà a costruire una forte rete di intelligence sovranazionale? Sembrano ad oggi ipotesi improbabili; non è successo con gli attacchi a Madrid e a Londra dieci anni fa, che pure fecero centinaia di morti. E l’Unione europea sta vivendo in questi ultimi anni una vera e propria crisi esistenziale: la crisi dei debiti sovrani e l’ondata migratoria da Medio Oriente ed Africa hanno messo in evidenza le fragilità della costruzione europea.
E’ però probabile che una coalizione internazionale molto estesa combatterà l’Isis nel suo territorio. Il terrorismo islamico non minaccia solo la Francia o il Belgio ma tutta l’Europa. La Germania ha deciso di inviare una nave da guerra e dei caccia Tornado di fronte alle coste siriane, mentre altri paesi europei, tra cui l’Italia, valutano ulteriori azioni di supporto. Ed anche paesi più lontani, come la Cina e l’India, hanno i loro problemi con il terrorismo internazionale di matrice islamica.