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Clima, dal 30 novembre la Conferenza mondiale | Obiettivo: contenere l’aumento delle temperature

Parigi, ancora sotto shock per i recenti attacchi terroristici, ospiterà dal 30 novembre all’11 dicembre 2015 il COP21, la ventunesima conferenza Onu sul clima. La città accoglierà, tra imponenti misure di sicurezza, i rappresentanti di 196 paesi che dovranno discutere un nuovo accordo per contrastare il cambiamento climatico. COP21 mira al contenimento della crescita della temperatura del pianeta entro 2 gradi centigradi in questo secolo.

E’ improbabile, malgrado l’ampiezza della Conferenza e l’importanza fondamentale del tema in questione, che sia raggiunta un’intesa dettagliata e vincolante. Questo non è infatti successo in passato, nonostante i ripetuti allarmi della comunità scientifica. Il problema è che forti misure di contenimento dei gas serra mettono a rischio il modello di crescita globale, che si basa ancora in buona parte sul consumo di combustibili fossili. E quindi, è purtroppo più che possibile che anche questa Conferenza sigli un documento vago ed annacquato di compromesso, per evitare un clamoroso flop.

Le posizioni tra i paesi presenti appaiono lontane. Le statistiche dell’Onu indicano Cina, Stati Uniti, Unione Europea ed India come i maggiori emettitori di CO2. Tra questi solo l’Unione Europea ha preso delle misure concrete, nell’intento di limitare la produzione dei gas serra. I paesi europei hanno attuato il cosiddetto ‘emission trading system’, codificato con il Protocollo di Kyoto nel 2001. Questo sistema ha istituito una borsa valori per la CO2, che consente l’acquisto e la vendita di certificati di produzione di CO2; le aziende che eccedono le emissioni stabilite per legge sono costrette ad acquistare certificati dalle altre “virtuose”, che hanno emesso meno dei loro limiti legali. Si crea così un incentivo economico per la riduzione delle emissioni. L’Europa è stata inoltre un precursore nel campo delle ingegnerie rinnovabili: in particolare lo sfruttamento di energia solare ed eolica è molto cresciuto in questi anni, favorito da incentivi economici di sostegno stabiliti dei singoli Stati. Qualche polemica ha invece suscitato l’incentivo all’utilizzo di combustibili di origine vegetale, in quanto queste produzioni distraggono terreno agricolo dalle colture ad uso alimentare.

La Cina, dopo una lunga fase di diniego del problema, ha solo recentemente iniziato ad ammettere che il proprio sviluppo impetuoso degli ultimi 3 decenni è avvenuto a costi ambientali altissimi. Il degrado ambientale è evidente, particolarmente nei centri urbani; grandi città come Pechino e Shangai sono costantemente avvolte in una nuvola di smog. Le preoccupanti statistiche sull’aumento di malattie respiratorie e la forte pressione di molti cittadini inferociti per l’aria irrespirabile stanno giocando un ruolo importante nel cambiamento di direzione delle autorità nazionali.

Il presidente degli Stati Uniti Obama ed il Partito Democratico portano avanti da anni un impegno importante sui temi ambientali. Nel mese di settembre, la Casa Bianca ha lanciato una campagna di iniziative per la protezione dell’ambiente, tra le quali spicca un forte impulso alle energie rinnovabili. E l’anno scorso il presidente americano aveva siglato un accordo congiunto con il suo omologo cinese Xi Jinping per un taglio delle emissioni di gas serra, con obbiettivi comunque ben diversi per i due paesi: riduzione del 25% entro il 2025 per gli americani, inizio della discesa delle emissioni dal 2030 per i cinesi. Ma tra i repubblicani prevale ancora lo scetticismo sul cambiamento climatico e la potente lobby delle industrie del carbone e del petrolio preme sul congresso Usa per impedire qualsiasi ipotesi di legislazione restrittiva.

Comunque, le autorità americane sono molto attente in tema di rispetto delle leggi ambientali: lo scandalo sulle emissioni delle auto Wolksvagen è iniziato proprio qui, a seguito dei controlli dell’Agenzia per la Protezione Ambientale americana; inoltre l’americana ExxonMobil è stata recentemente condannata ad una multa di oltre 230 milioni di dollari, per l’inquinamento di pozzi di acqua potabile nel New Hampshire con un additivo per la benzina. Sotto accusa da parte della comunità internazionale è l’India, paese ancora in via di industrializzazione, ma che è già divenuto negli ultimi anni un grande inquinatore. Gli indiani scansano qualunque ipotesi di intervento in materia, scaricando il peso dei tagli di emissioni sui paesi già ricchi e che quindi possono permettersi di farsi carico di misure che rallentino la crescita.

In questo clima politico incerto, la comunità scientifica continua a sfornare dati allarmanti: le previsioni di lungo periodo prefigurano la possibilità di scenari disastrosi, se non si prendono misure efficaci. Le temperature nel 2100 saliranno fino a cinque gradi rispetto ad oggi; lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e in Antartide innalzerà di diversi metri il livello degli oceani, minacciando gli habitat costieri in cui vivono centinaia di milioni di persone, con un rischio di evacuazione di massa.

A rischio inondazione sono anche grandi metropoli come Londra, New York, Hong Kong, Lagos. Le isole nel Pacifico e nell’Oceano indiano potrebbero scomparire: Micronesia, Maldive, Seychelles saranno sommerse dalle acque, così come parte del Bengala e del Vietnam. Il Sahel si trasformerà in un deserto. Più frequenti saranno i fenomeni climatici estremi come tifoni e tempeste; lo si è già visto negli ultimi anni, sia nel Golfo del Messico che con i frequenti tifoni in paesi asiatici come Cina e Filippine. Si prevedono effetti devastanti sull’agricoltura nella fascia tropicale, con conseguenze catastrofiche per la sicurezza alimentare dei paesi più arretrati.

Una responsabilità importante quindi per la Conferenza di Parigi. E qualche azione e segnale positivo di allineamento sull’urgenza del problema si inizia a vedere tra i grandi protagonisti dell’economia mondiale. Il presidente Obama è recentemente apparso in un video: “Abbiamo un enorme responsabilità verso i nostri figli e nipoti: quale terra gli lasceremo?”, ha detto. Ha ragione, ma occorre fare in fretta: ogni anno l’umanità immette 10 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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