Un embrione malato può guarire, attraverso un sistema di auto-correzione di cui si ignorava, almeno finora, l’esistenza e nascono bambini sani. Embrioni con alterazioni cromosomiche possono tornare sani e dar vita a una gravidanza, e a un bebè in salute. L’importante scoperta arriva proprio dalla ricerca italiana, che ha visto venire alla luce i primi neonati. Sono stati infatti effettuati 18 impianti, e da questi sono nati 6 bambini sani, 5 femmine e un maschio.
La ricerca è stata pubblicata sul “New England Journal of Medicine” dal team di Ermanno Greco, autore dello studio e direttore del Centro di medicina e biologia della riproduzione all’European Hospital di Roma.
I medici hanno analizzato oltre 3.800 blastocisti, ovvero l’insieme di cellule che si formano entro le prime 2 settimane dalla fecondazione, delle quali il 5% circa è risultato a mosaico, cioè con cellule malate e cellule sane. Lo studio ha dimostrato che anche queste blastocisti devono essere considerate utili per il trasferimento in utero e non più lasciate congelate o, come avviene in altri Paesi, eliminate.
“Alcuni embrioni parzialmente malati possono infatti essere in grado di auto-correggersi: una volta impiantati, le cellule sane prendono il sopravvento su quelle malate. Potendo utilizzare anche questi embrioni ‘anormali’, possiamo aumentare di fatto le percentuali cumulative di successo della fecondazione in vitro, oltre che renderla più sicura per le donne”, spiega Greco.
Tra le altre possibili conseguenze per la fecondazione assistita c’è anche la diminuzione della stimolazione ovarica della donna. Se la diagnosi preimpianto evidenzia una situazione di aneuploidia a mosaico, significa che sono state trovate sia cellule malate, sia sane. Oggi la ricerca sa che questa coesistenza può suggerire che l’embrione si stia riparando, e che le cellule malate verranno confinate nella regione dell’embrione che darà origine ai cosiddetti annessi fetali come la placenta.
Possono giovarsi di queste nuove metodiche di procreazione assistita integrate con la diagnosi preimpianto “donne infertili che hanno avuto difficoltà a rimanere incinte o a portare avanti una gravidanza e che hanno già affrontato vari fallimenti nel concepimento sia per via naturale che assistite, e anche donne con età materna considerata ‘avanzata’ (superiore ai 35 anni)”, dicono i ricercatori.