Sabato 7 novembre i presidenti di Cina Xi Jinping e di Taiwan Ma Ying-Jeou si vedranno a Singapore. Un incontro che entrerà nei libri di storia: si tratta, infatti, della prima volta fra i capi di Stato dei due paesi dal 1949, anno in cui il leader nazionalista Chang Kai-Shek fondò il governo autonomo di Taiwan, sancendo la divisione politica della Cina in due stati. Era l’epilogo della guerra civile tra le sconfitte forze nazionaliste del Generale ed il nascente regime comunista di Mao Ze Dong. Da allora i due Stati non riconoscono la rispettiva esistenza e non hanno relazioni diplomatiche formali.
Ma, nonostante i distinguo diplomatici, le relazioni sono state improntate ad un dialogo continuo da almeno trent’anni; il dato storicamente più evidente è il cosiddetto “Consenso del 1992”. I termini del “Consenso” stanno nel riconoscimento dell’esistenza di una sola Cina che comprende continente e Taiwan e la cui definizione è soggetta alla diversa interpretazione e definizione di ciascuno dei due Stati.
È fedele a questo principio il KMT (Kuon Min Tang), partito dell’attuale presidente taiwanese Ma. Sostiene – come d’altra parte fa la Repubblica Popolare Cinese – lo status quo nella relazione tra i due paesi: la Cina Popolare continua a considerare Taiwan come una provincia ribelle, ma non la invade; Taiwan, dal canto suo, non sfida il gigante cinese con una formale dichiarazione di indipendenza. Il KMT, che è al potere ininterrottamente dal 2008 dopo due vittorie di fila nelle elezioni presidenziali, ha favorito la distensione politica e la cooperazione economica con la Repubblica Popolare: in questi ultimi anni sono ripresi i voli diretti tra molte città cinesi e la capitale taiwanese Taipei; c’è stato un boom del commercio bilaterale che ha raggiunto la cifra record di 200 miliardi di dollari nel 2014; sono state autorizzate le visite di turisti cinesi a Taiwan. Molti imprenditori e giovani neolaureati taiwanesi si sono trasferiti nella Repubblica popolare, spinti dalle opportunità create dall’elevato tasso di crescita.
Ma non tutti, a Taiwan, sono allineati su queste posizioni; il principale partito d’opposizione DPP (Partito Democratico Progressista) non riconosce il Consenso del 1992, sostiene l’indipendenza formale di Taiwan ed il suo riconoscimento ufficiale a livello internazionale, promuove lo sviluppo di una specifica identità nazionale. Lo spirito nazionalista del DPP raccoglie molti consensi nell’isola, tra chi non apprezza le posizioni eccessivamente filo-cinesi del partito al potere: clamorosa, a marzo di quest’anno, è stata l’occupazione del Parlamento di Taipei da parte di formazioni studentesche che protestavano contro l’approvazione di alcuni accordi di libero scambio con Pechino. Si tratta del rovescio della medaglia dei rapporti via via più intensi tra Cina e Taiwan: un fastidio crescente da parte dei taiwanesi per l’invasiva presenza economica della Cina, che in fin dei conti considera Taiwan come una provincia ribelle. Dal ’90 ad oggi, la percentuale dei Taiwanesi che si identificano con la propria nazione è cresciuta dal 18 al 59%. Sono solo il 3% coloro che si definiscono ‘cinesi’.
Il momento dell’incontro non appare casuale. Le prossime elezioni a Taiwan si terranno in gennaio e, se le previsioni saranno rispettate, segneranno un momento di forte cambiamento. Infatti il DPP è dato – per la prima volta da quando vi sono libere elezioni a Taiwan – in netto vantaggio sul partito di governo. Considerati i programmi del partito, la vittoria del DPP potrebbe portare a un drastico peggioramento delle relazioni con la Cina.
Comunque, la candidata del DPP Tsai ing-wen ha commentato con molta prudenza l’incontro, sostenendo che i rapporti con la Cina sono una questione fondamentale per Taiwan e non dovrebbero essere piegati a convenienze di parte; non è il momento per il DPP di accentuare i toni nazionalistici: se il partito vuole consolidare i consensi, deve tenere conto di ampi strati della popolazione taiwanese che non si curano delle questioni politiche con la Cina ed apprezzano i benefici economici provenienti dall’attuale assetto nei rapporti. Il DPP ha comunque criticato l’iniziativa presidenziale: “L’annuncio a sorpresa del Presidente Ma soltanto qualche giorno prima dell’evento ed in mancanza di sostegno pubblico è soltanto l’ennesima di una lunga serie di decisioni opache da parte del Presidente”.
Anche in Cina, l’annuncio dell’incontro ha sollevato qualche perplessità: si teme che possa essere interpretato come un riconoscimento dello stato di Taiwan, o che possa avere effetti controproducenti sulle prossime elezioni nell’isola, pungolando i sentimenti nazionalistici dei taiwanesi.
E quindi, cosa pensano di ottenere Taiwan e Cina da questo storico incontro?
Il leader di Taiwan cerca innanzitutto di sostenere il candidato del suo Partito Eric Chu, dimostrando ai taiwanesi che la politica del KMT consente a Taiwan di dialogare da pari a pari con la Cina, e come su tali basi paritarie si possano ulteriormente consolidare i già ottimi rapporti economico-commerciali. Non è escluso che cerchi anche un suo posto nei libri di storia, prima di lasciare la scena politica.
Da parte loro i cinesi potrebbero riproporre a Taiwan il modello ”un paese, due sistemi”, già sperimentato ad Hong Kong. Vi sono inoltre alcune dispute territoriali aperte tra Cina, Giappone e Corea nel Mar Cinese Meridionale: l’appoggio di Taiwan potrebbe venire utile. Infine, la Cina vuole rassicurazioni sulla continuità nel dialogo e nel processo di integrazione economica: una nuova “questione Taiwan” aumenterebbe la temperatura politica nella regione, recentemente segnata da forti accenti nazionalistici per delle questioni territoriali d’importanza minore.