E’ uscito da poco il rapporto del Fondo monetario internazionale sulle economie africane. Dopo 15 anni di tassi elevati di crescita economica, ben oltre il 5% annuo, dicono gli economisti di Washington, il continente africano ha rallentato la sua corsa per effetto di fattori economici globali. L’Fmi prevede infatti soltanto una crescita del 3,5% per il 2015.
Un primo fattore è la contrazione dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali. L’economia africana ne è fortemente dipendente: non solo petrolio, ma anche minerali come rame e ferro e prodotti agricoli come cotone e cacao, rappresentano la base dell’export delle economie africane. E dunque, dopo avere fortemente beneficiato del ciclo positivo dei prezzi delle materie prime dal 2000 sino allo scoppio della crisi finanziaria negli Stati Uniti, l’Africa ha iniziato una fase di assestamento. La rallentata dinamica della domanda ha spinto molte compagnie minerarie a rallentare investimenti e produzione: è un esempio la chiusura di alcune miniere di rame in Zambia. Nuove scoperte nel settore energetico, per esempio carbone in Mozambico e petrolio in Uganda, avevano negli anni scorsi suscitato il forte interesse degli investitori internazionali ma il flusso di capitali per lo sfruttamento dei giacimenti è adesso fortemente rallentato: si attendono tempi migliori sul lato dei prezzi e della domanda mondiale.
Inoltre, l’Africa soffre in modo diretto e rapido la contrazione della crescita del gigante cinese. La Cina è il primo partner commerciale del continente africano, con scambi dell’ordine di 200 miliardi di dollari. La strategia cinese, nel corso degli ultimi 20 anni, ha visto la crescita di relazioni politiche, finanziarie ed economiche in molti paesi africani: l’idea è quella di un’Africa “granaio” che possa fornire le materie prime per la crescita cinese. Un granaio in cui oggi operano con successo circa 800 aziende cinesi. Con l’inizio della crisi internazionale nel 2009, la Cina ha improntato la sua politica di espansione economica ad una maggiore cautela, per assicurare una crescita interna stabile – seppure più lenta – durante i tempi della crisi mondiale. A questo riassestamento degli investimenti, che ha interessato anche l’Africa, non è estranea la preoccupazione di limitare l’esposizione finanziaria in economie a rischio: il rallentamento dei prezzi delle materie prime ha messo in difficoltà le economie africane, con rischio diffuso di default sui prestiti a lungo termine concessi dagli istituti di credito cinesi.
Una minaccia sempre presente per la crescita economica dell’Africa è l’instabilità politica di molti paesi; dopo una fase positiva tra gli anni novanta e duemila, in cui molti conflitti sono stati risolti – per esempio le guerre civili in Angola, Mozambico e Sierra Leone – negli ultimi anni la violenza è di nuovo in ascesa in molti paesi africani, soprattutto a causa di conflitti interreligiosi che spesso sono sfociati in insurrezioni a carattere jihadista. Il terrorismo di Boko Haram in Nigeria e di Al-Shabaab in Somalia ed in Kenia, l’insurrezione Tuareg ed islamista nel nord del Mali, le tensioni interreligiose in Repubblica Centrafricana e la guerra civile in Repubblica Democratica del Congo ne sono alcuni esempi. Spesso all’origine di questi conflitti – che si nutrono del mito jidahista di origine medio orientale – è la marginalizzazione economica e politica di intere comunità all’interno dei singoli Stati, ove prevalgono interessi di carattere tribale o diversità di carattere etnico – religioso in una gestione divisiva della macchina e delle risorse statali.
Malgrado questi problemi, Fmi e Banca Mondiale stimano la crescita economica in Africa ad oltre il 5% annuo per il resto del decennio, dopo un protrarsi del rallentamento in atto sino al 2016. Infatti, le più grandi economie africane hanno saputo in molti casi diversificarsi e creare meccanismi finanziari sofisticati per ammortizzare la contrazione economica nelle congiunture più sfavorevoli. L’ammissione del Sudafrica nel gruppo dei BRICS nel 2010 è stato il riconoscimento del potenziale economico del paese e del suo ruolo guida in Africa. Pretoria ha di gran lunga l’economia più sofisticata, globalizzata e diversificata del continente. Il Sudafrica è l’hub africano per molte multinazionali occidentali, nei settori finanziario e manufatturiero ed ha enormi risorse minerarie come oro, carbone e platino.
La Nigeria, il più grande paese africano per popolazione e PIL, è riuscita nei decenni a diversificare l’economia; la produzione petrolifera è oggi il 13% della ricchezza del paese; era il 30% dieci anni fa. Inoltre, la violenza jihadista di Boko Haram è concentrata nel nord–est del paese, poco importante dal punto di vista economico. L’Angola è la terza economia dell’Africa subsahariana. Dal 2000 gode di un tasso di crescita stellare – il 9% annuo sino al 2014 – trainato dalla produzione petrolifera, che è oltre il 90% della ricchezza del paese. Nell’ultimo anno l’economia è stata duramente colpita dal crollo del prezzo del petrolio e sussistono difficoltà nel sostegno delle attività economiche, anche per le restrizioni della Banca centrale sulle transazioni in valuta estera.
Crescita su basi economiche diversificate è anche prevista per i paesi africani che si affacciano sull’Oceano Indiano. L’economia keniota ha il fiore all’occhiello nel settore turistico, accanto ad una buona base manifatturiera, anche in settori tecnologicamente avanzati quali la telefonia mobile. Soffre però delle incursioni dei terroristi somali di Al Shabaab: i flussi turistici sono diminuiti nel 2014 e 2015. Godono invece di relativa stabilità politica e sociale l’Etiopia ed il Mozambico, le cui stime di crescita si attestano tra l’8 ed il 9% all’anno; gli etiopi, oltre a produzioni agricole tradizionali quali il caffè, hanno un settore tessile in forte sviluppo e che ha attirato investimenti dell’Asia e dal Golfo. Il dinamismo economico del Mozambico deriva dalle riforme intraprese dalla fine della guerra civile nei primi anni novanta. Dopo gli ingenti investimenti nel settore minerario (soprattutto carbone e gas naturale), il governo si sta ora concentrando nei settori delle infrastrutture, delle telecomunicazioni e dell’agricoltura.