Sono passati 40 anni dall’assassinio sulla spiaggia di Ostia, nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, di Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista. La sua eredità però, da intellettuale definito “scomodo” rimane ancora.
Intellettuale vivace, intelligente e curioso, in anni in cui gli intellettuali erano anima della vita sociale e politica, artista multiforme, poeta, narratore, drammaturgo, regista cinematografico, filologo, critico, giornalista e polemista, quando la commistione di generi era ancora vista con sospetto, in tutto ciò in cui si è cimentato ha portato un tocco di personale innovazione, ha messo la sua vena polemica e provocatoria, frutto anche dell’essersi misurato con una vita difficile, contrastata e sofferta, esibita e patita e difesa.
Ma il ricordo di Pier Paolo Pasolini passa anche attraverso il calcio. Quello giocato, come oggi a Pietralata, una delle tante periferie descritte dallo scrittore, poeta e regista friulano. A 40 anni dalla sua uccisione, attori, scrittori, giornalisti si sono sfidati sul campo del Fulvio Bernardini in un quadrangolare intitolato “Pasolini gioca ancora”. Ad aggiudicarselo è stata la nazionale scrittori Osvaldo Soriano Fc che ha superato soltanto ai rigori la Pasoliniana, formazione composta da veterani della squadra di rifugiati Liberi Nantes. Ma in campo si sono affrontate un po’ tutte le anime di Pasolini, rappresentate dal Team Giornalisti Italiani e l’Italianattori che il poeta corsaro contribuì a fondare.
Nato a Bologna nel 1922, Pier Paolo Pasolini girovaga per i paesi in cui viene trasferito il padre militare, poi dal 1937 torna a Bologna dove studia, segue all’Università le lezioni di un maestro come Roberto Longhi, fa amicizia con il gruppo di Leonetti e Roversi (coi quali negli anni ’50 fonderà ”Officina”), collabora a riviste e pubblica in friulano le ”Poesie a Casarsa”, il paese dell’amatissima madre Susanna.
Viene richiamato 15 giorni prima dell’8 settembre 1943, quando fugge e ripara proprio a Casarsa dove sono sfollati la madre e il fratello minore Guido, che, partigiano autonomista, nel 1945 resta ucciso in scontri con partigiani favorevoli a Tito, fatto che lo spingerà a un maggiore impegno politico e all’iscrizione al Pci, mentre inizia a insegnare. Nel 1949, accusato di corruzione di minori del suo stesso sesso, per lo scandalo venne sospeso dalla scuola e radiato da partito e, come costretto a fuggire, si trasferisce a Roma (ne parlerà 30 anni dopo in”Amado mio” e ”Atti impuri”). Se per Pasolini, e lo testimoniano i suoi primi versi, il Friuli era luogo quasi sognato, ”di una civiltà pre-capitalista – come ha scritto Vincenzo Mengaldo – e intrisa di religiosità primitiva, la quale si sottrarrebbe alla devastante ruspa della storia, opponendole la sua autenticità incontaminata”, così felici e liberi nella loro istintuale esistenza e sessualità sono i ”Ragazzi di vita”, romanzo scandalo del 1955, scritto invece in un romanesco non reale, mimetico, ma allusivo e reinventato letterariamente (quattro anni dopo arriverà ”Una vita violenta”).
Tra i suoi titoli principali, i versi delle ”Ceneri di Gramsci”, ”La religione del mio tempo, ” Poesie in forma di rosa”; i romanzi ”Il sogno di una cosa”, il bel ”Teorema” (che nasce in seguito all’omonimo film) e il postumo e ambizioso ”Petrolio”, i drammi in versi, dopo il ”manifesto per un nuovo teatro”, ”Orgia”, ”Calderon” e ”Affabulazione”, che proiettano nel mito i complessi temi psicologici della sua opera; quindi i film, a partire dal 1961 con ”Accattone”, poi ”Mamma Roma” e ”La ricotta”, e ancora ”Edipo Re” e il nuovamente scandaloso e intensissimo ”Vangelo secondo Matteo”, sino al ”Decameron” e all’estremo, perché ultimo e per l’apocalittico pessimismo che lo pervade, ”Le 120 giornate di Sodoma”.
A tutto questo si aggiungono volumi di saggi letterari e raccolte di articoli, pubblicati appunto tra l’altro coi titoli ”Lettere luterane” e ”Scritti corsari”. Un’eredità articolata, ricca, che cresce col tempo, la cui attualità, come scrisse il suo amico Gian Carlo Ferretti, ”riposa nella duplicità, nell’ambivalenza drammaticamente esibita fra pubblico e privato, fra l’opera e l’uomo, fra la pagina scritta e l’offesa quotidiana sopportata in pubblico e in pubblico denunciata e urlata”.