L’1 novembre si terranno in Turchia le elezioni politiche, a pochi mesi di distanza dal voto di giugno che ha consegnato il paese ad una situazione di stallo politico. L’AKP, il partito di Erdogan e del primo ministro Davutoglu, ha perso la maggioranza assoluta che deteneva dal 2011 e non è stato capace di costituire un governo di coalizione. Missione impossibile, vista la distanza ideologica tra i maggiori partiti che siedono in Parlamento: la supremazia di Erdogan nel centro conservatore e religioso del paese è bilanciata dal CHP laico-socialista di Kilishdarogu, che ha la maggioranza ad Istanbul e sulle coste mediterranee; siedono poi in parlamento i filo-curdi del HDP, molto forti nell’Est, ed il partito di estrema destra nazionalista MHP.
La situazione è lo specchio delle contraddizioni del paese: una terra di confine tra Occidente e Medio Oriente, alleato storico degli Stati Uniti e tentata da una prospettiva di integrazione in Europa che non si concretizza; ed anche una terra percorsa da ispirazioni pan-islamiche, evidenti nel grande attivismo di Erdogan nel periodo della primavera araba. Un paese di forti tensioni istituzionali e sociali: la Magistratura, baluardo di una costituzione fondamentalmente laica, è fortemente critica nei confronti delle ambizioni accentratrici di Erdogan, che vuole ridurne l’indipendenza.
Inoltre il governo turco non esita a limitare la libertà di stampa con misure “intimidatorie”; pare siano circa 200 i giornalisti imprigionati per reati d’opinione quali l’uso di linguaggio offensivo nei confronti del Presidente o per la divulgazione di documenti riservati. E poi si aggiunge la grande questione irrisolta dei rapporti con la minoranza Curda, mai riconosciuta come tale, ed il conflitto con il movimento armato del PKK curdo.
Sul piano economico, è innegabile l’efficacia con cui il governo ha accompagnato lo straordinario sviluppo della Turchia negli ultimi 10 anni, che ha visto quadruplicarsi il prodotto interno lordo del paese. Nel 2015, però, l’economia ha rallentato ed il governo ha varato un piano di rientro dal deficit, anche per contrastare l’inflazione interna all’8% annuo; la Lira turca ha perso quest’anno il 20% del suo valore nei confronti del dollaro.
Le elezioni di novembre giungono quindi in un momento delicato per la Turchia e rappresentano un secondo test politico per Erdogan, dopo la sconfitta di giugno. La maggior parte degli osservatori ritiene che anche questa volta l’AKP fallirà il suo obiettivo della maggioranza assoluta in Parlamento. Si apre quindi un potenziale periodo di paralisi politica simile a quella degli ultimi mesi. Ma le questioni che pongono la Turchia al centro dell’attenzione internazionale sono la sua vicinanza alla guerra civile siriana ed il suo ruolo nella gestione dei rifugiati.
La Turchia ha concesso agli americani l’uso di basi aeree per i bombardamenti in Siria. E’ allineata sulla posizione anti-Assad ed i rapporti con Putin sono in freddo per questo motivo. Ha un ruolo attivo nei raid aerei sui cieli siriani ma le bombe sembrano cadere anche sulle postazioni curde che si oppongono all’Isis. Insomma, ufficialmente l’Isis è il nemico. Ma l’atteggiamento di Erdogan non appare così determinato in questo caso, a giudicare dalla risposta ai terribili attentati suicidi che hanno recentemente colpito il paese.
Sabato 10 ottobre 2015, due kamikaze si sono fatti esplodere in mezzo ad un corteo di pacifisti ad Ankara, causando oltre 100 vittime e centinaia di feriti. I manifestanti protestavano contro l’intensificazione del conflitto tra l’esercito turco ed i guerriglieri del PKK negli ultimi mesi. La manifestazione era organizzata, tra gli altri, dal partito filo-curdo DHP. A due settimane dalla strage, che non è stata rivendicata, i media riportano l’evidenza che l’attentato è stato opera di affiliati all’Isis, probabilmente dello stesso gruppo che aveva compiuto un attentato con modalità analoghe a luglio nella cittadina di Suruc, uccidendo 30 persone. Gli attentatori erano turchi e venivano da Adiyaman, nel sud est del paese.
La risposta a caldo del Governo turco è stata ampiamente criticata dall’opposizione e dai media. Le Autorità hanno subito preteso il silenzio stampa sulla vicenda e le successive indagini (con scarso successo, a dire il vero). Le manifestazioni di sostegno istituzionale hanno avuto un tono dimesso, a dispetto dello shock che ha attraversato il paese. Il capo della polizia di Ankara è stato rimosso, ma molti si domandano perché nessuno sia stato arrestato dopo la bomba di Suruc, visto che era stata identificata una ventina di persone vicine ai terroristi di quell’attentato. Infine, le dichiarazioni del governo che indicavano i responsabili della strage in un “cocktail” di movimenti terroristici, cercando di tirare dentro il PKK come fiancheggiatore degli attentatori, hanno convinto poco: curdi ed Isis sono acerrimi nemici. Da parte sua, il DHP ha perso due suoi esponenti nella strage ed ha deciso di limitare le manifestazioni pubbliche in periodo elettorale.
Il 18 ottobre Angela Merkel ha visto Erdogan ad Ankara. La visita seguiva la decisione dei quindici a Bruxelles di accettare il piano d’azione congiunto per la gestione dei flussi migratori, che la Commissione aveva negoziato con la Turchia. Gli Europei chiedono alla Turchia di migliorare le condizioni di vita dei due milioni di siriani rifugiati nei campi profughi e di aprire reali prospettive di integrazione in suolo turco, favorendo l’accesso al sistema scolastico ed al mondo del lavoro. Inoltre chiedono un’efficace controllo della frontiera turca nel Mediterraneo per controllare i flussi e fermare i migranti economici. In cambio la Turchia otterrà aiuti economici per oltre 3 miliardi di dollari, l’accesso senza visto nei paesi di area Schengen per i propri cittadini e la prospettiva di riaprire i negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea. Quest’ultima apertura è certamente la notizia più sorprendente, dopo che le trattative – iniziate oltre 10 anni fa – si sono insabbiate sul veto incrociato di francesi e tedeschi.
Ed è certamente stata una bella vetrina politica per Erdogan accogliere ad Ankara proprio la Merkel, che ascese al potere con un programma che escludeva l’integrazione della Turchia in Europa; un problema, questo, particolarmente sentito in Germania per l’elevata presenza di immigrati turchi. Comunque, la pragmatica cancelliera tedesca mira a risolvere il problema immediato dei flussi migratori e ha promesso il suo appoggio per la riapertura dei negoziati.