Col il via libera di ieri da parte del Senato, è stato superato il primo e più difficile scoglio verso la riforma costituzionale. Adesso il Ddl Boschi dovrà tornare alla Camera per la quarta approvazione che sia conforme a quella di Palazzo Madama. Dopo tre mesi, il provvedimento dovrà ottenere un nuovo via libera dalle Camere (presumibilmente a marzo) e non sarà possibile presentare emendamenti.
Infine, parola al popolo con il referendum del prossimo anno.
Ma vediamo come cambierebbe il Senato:
Sarà formato da 100 componenti, così articolati: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 (in totale) su nomina del Presidente della Repubblica. Non ci saranno più senatori eletti all’Estero. La modalità di elezione è un misto tra elezione diretta e non, i cui dettagli verranno definiti in una legge ordinaria che le Camere dovranno approvare in un secondo momento e che le singole Regioni dovranno poi recepire. I senatori di nomina presidenziale saranno in carica per sette anni senza possibilità di rinnovo, mentre la durata di tutti gli altri corrisponderà a quella degli enti territoriali da cui provengono. I nuovi senatori, inoltre, non percepiranno indennità ma saranno destinatari delle garanzie attualmente esistenti.
Non esisterà più il bicameralismo perfetto. La Camera dei Deputati (che rimane di 630 componenti) avrà una vera e propria primazia nello scenario istituzionale e sarà la sola a votare la fiducia al governo, a svolgere il compito di indirizzo politico e di controllo sull’operato dell’Esecutivo e avrà l’esclusiva legislativa su leggi come amnistia e indulto. La stessa esclusività ci sarà anche nelle materie come le deliberazioni dello stato di guerra e la ratifica dei trattati internazionali. Su alcune materie, come nei rapporti tra Stato enti territoriali e Ue, il Senato avrà ancora una propria funzione legislativa. Su richiesta di un terzo dei componenti, il Senato può inoltre deliberare di proporre modifiche a una legge approvata dalla Camera, che quest’ultima sarà poi libera di respingere o approvare. Per le leggi che concernono le competenze delle Regioni il Senato avrà voto obbligatorio. Spetterà inoltre soltanto alla Camera l’eventuale autorizzazione a procedere della giurisdizione ordinaria dei componenti del governo, anche se non più in carica, per eventuali reati commessi nell’esercizio del mandato.
Cambia il quorum per l’elezione del presidente della Repubblica. Ai primi tre scrutini sarà necessaria la maggioranza qualificata dell’assemblea; dal quarto scrutinio la maggioranza dei tre quinti, dal settimo invece i tre quinti dei votanti. Per quanto riguarda i giudici della Consulta, tre spetteranno alla Camera e due dal Senato.
Per chiedere una consultazione popolare saranno necessarie 800 mila firme e vengono inoltre introdotti due nuovi tipi di referendum, propositivo e di indirizzo, la cui definizione sarà disciplinata da successive leggi. Per le proposte di iniziativa popolare occorrerà raccogliere 150 mila firme.
Nell’art. 55 viene inserito un comma il quale sancisce l’equilibrio di genere tra gli eletti. Viene inoltre prevista l’introduzione dello Statuto delle opposizioni, che sarà però determinato dal regolamento della Camera.
La legislazione concorrente tra Stato e Regioni viene cancellata. L’art. 31, tuttavia, prevede che lo Stato potrà, applicando una clausola di salvaguardia, occuparsi delle competenze attribuite alle regioni. Inoltre, le regioni più virtuose, con una migliore condizione dei conti, avranno maggiori possibilità di devoluzioni di poteri da parte dello Stato su materie tra cui le politiche del lavoro, della formazione e istruzione, delle politiche sociali. Le Province vengono cancellate dal testo costituzionale, e anche il discusso Cnel, Consiglio Nazionale dell’ Economia e del Lavoro, verrà soppresso.
I Comuni, le città metropolitane e le regioni godranno di autonomia finanziaria di entrata e spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci e dei vincoli che derivano dall’ordinamento europeo. La riforma, inoltre, prevede che lo stipendio dei consiglieri regionali non potrà superare quello dei sindaci dei comuni capoluogo. Sull’eventuale scioglimento dei consigli regionali dovrà necessariamente esprimersi il Senato.