Avere un figlio, nel 30% dei casi, corrisponde all’abbandono del posto di lavoro. Lo afferma l’Istat in un rapporto alla Camera spiegando che per le donne nate dopo il 1964 il tasso è pari al 25%.
Tra il 2005 e il 2012 il livello di abbandono è passato dal 18,4% al 22,3%. Inoltre, nel 60% dei casi devono passare almeno 5 anni prima del rientro.
Sempre l’Istat fa sapere che, oltre ad avere più interruzioni per motivi familiari, i percorsi lavorativi delle donne sono sempre più caratterizzati da lavori atipici: tra gli occupati, di età compresa tra i 16 e i 64 anni nel 2009 solo il 61,5% delle donne ha avuto un percorso interamente standard, contro il 69,1% degli uomini.
Dagli anni ’90 è progressivamente aumentato il part-time femminile, dal 21% del 1993 al 32,2% del 2014, con conseguenti minori livelli medi di retribuzione e importi più bassi dei contributi versati.
L’Istat fa notare come l’Italia “continua a essere un Paese caratterizzato da un’elevata asimmetria dei ruoli nella coppia (il 72% delle ore di lavoro di cura della coppia con figli sono svolte dalle donne), da una bassa offerta dei servizi per l’infanzia e una crescente difficoltà di conciliazione, soprattutto per le neomadri (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012). I differenziali di genere nelle pensioni non verranno colmati fintanto che non saranno superate le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, nell’organizzazione dei tempi di vita, e non sarà disponibile una rete adeguata di servizi sociali per l’infanzia”.