La Procura di Torino ha chiesto otto mesi di reclusione per Erri De Luca. Lo scrittore è accusato di istigazione a delinquere: in alcune interviste, secondo l’accusa, avrebbe incitato a sabotare il cantiere della Torino-Lione. “Mi sarei aspettato il massimo della pena, invece sono stupito della differenza tra gli argomenti prodotti dall’accusa e un’entità tanto esigua della richiesta”, ha ironizzato lo scrittore in una pausa del processo.
“Mi pare inevitabile – ha spiegato il pm Antonio Rinaudo durante la requisitoria – che le sue parole fossero dirette a incidere sull’ordine pubblico. De Luca ha peso, pregnanza, possibilità di incidere sulla volontà di altri e con la forza delle sue parole ha sicuramente incitato a commettere reati”.
“Negli articoli contestati – ha proseguito Rinaudo – si parla di molotov e De Luca non venga a dire adesso che non se ne parla. I sabotaggi si traducono quantomeno in danneggiamenti, anche se l’obiettivo è realizzare altri reati come attaccare le forze dell’ordine. Tagliare le reti non è danneggiare le recinzioni del vicino, ma una struttura che è area di interesse strategico nazionale per un’opera di rilevanza internazionale”.
Di tutt’altra opinione è, ovviamente, la difesa che chiede invece di assolvere Erri De Luca “perché quanto gli viene contestato è un reato impossibile”. Secondo gli avvocati Gianluca Vitale e Alessandra Ballerini, difensori dello scrittore, “la sua è normale libertà di manifestazione del pensiero. Dire che la linea Tav va sabotata rientra, come spiega il mio cliente nel libro ‘La parola contraria’, nel diritto di malaugurio. E quando si parla di sabotaggio significa metterlo in atto con qualunque metodo, non necessariamente con un metodo violento”.
Secondo Vitale, “questo è un processo di parole e un processo alle parole, perché è evidente che non ci sono stati reati. Ci sono state passeggiate al cantiere prima e dopo che De Luca parlasse. E l’episodio ritenuto più grave è del maggio 2013, molto prima delle interviste. Infine, non c’è la prova che qualcuno abbia percepito come istigazione le parole del mio cliente e un dato di fatto è che molte persone hanno ritenuto quelle parole non istiganti”.
Lo scrittore napoletano cela la sua ansia dietro l’ironia delle sue dichiarazioni: “Non sono un martire – ha concluso – né sono una vittima, sono un testimone della volontà di censura della parola. Questa sentenza sarà un messaggio sulla libertà di espressione”.