Il 10 Settembre 2015 il governo cubano ha annunciato l’amnistia per 3500 detenuti, la più grande di sempre per il regime di Castro. Un chiaro segnale di distensione in vista della visita di Papa Francesco. Il disgelo fra Usa e Cuba, dopo cinquant’anni di ostilità, è il risultato di negoziati nei quali la diplomazia vaticana ha giocato un ruolo importante.
Ripercorriamone le tappe: il 17 dicembre 2014 Barack Obama e Raul Castro parlano al telefono per 45 minuti. Poco dopo, i due leaders pronunciano discorsi in diretta tv; Obama annuncia un nuovo corso nelle relazioni tra i due paesi; Castro sottolinea che esistono ancora importanti differenze e che ci vuole tempo. Vi è un accordo per lo scambio di detenuti accusati di spionaggio dai due paesi, come segno di buona volontà.
Nel gennaio 2015 Obama firma degli ‘executive orders’ per il parziale alleggerimento dell’embargo economico: i cittadini americani possono visitare Cuba, le compagnie aeree riaprire le rotte per Cuba, le società assicuratrici stipulare polizze con cittadini cubani e le banche investire a Cuba.
In aprile, lo storico incontro tra i due leader al Summit delle Americhe a Panama; è il primo dal 1961. Dopo pochi giorni, Obama annuncia la rimozione di Cuba dalla lista degli ‘sponsor del terrorismo’.
Il 20 luglio 2015 si riaprono le ambasciate all’Avana e a Washington; le piene e normali relazioni diplomatiche sono ristabilite.
I sondaggi mostrano che la maggioranza degli americani è favorevole all’operato di Obama e vuole la fine dell’embargo. Anche la comunità cubano-americana – due milioni, per lo più residenti in Florida – tradizionale motore dei sentimenti anti castristi, appare oggi divisa: gli anziani sono contro il regime e non vogliono compromessi, mentre i giovani, nati e cresciuti negli Stati Uniti, votano democratico e sono in gran parte favorevoli alla svolta. La normalizzazione dei rapporti è anche celebrata in gran parte dell’America Latina, dove la tradizionale politica statunitense verso Cuba era profondamente impopolare.
E’ diffusa l’opinione che la nuova era nei rapporti tra i due paesi porterà a profonde riforme economiche ed anche politiche a Cuba. Sull’onda dell’iniziativa lanciata da Obama, il Presidente francese Hollande si era recato a L’Havana già a maggio: “La Francia deve assistere Cuba nello sviluppo, che sia la prima a venire è la sua vocazione. Prima in Europa e tra i paesi occidentali. La prima a dire ai cubani che siamo al loro fianco”, ha affermato Hollande, nella convinzione che il processo di apertura “sarà molto, molto veloce”.
Una svolta epocale, quindi, ma la questione dei diritti umani a Cuba rimane centrale. I rapporti di Human Right Watch, Amnesty International ed altre organizzazioni internazionali descrivono i tratti tipici di una dittatura comunista: stretto controllo sull’economia, sulla stampa ed ampio uso della detenzione per mettere a tacere le voci ‘controrivoluzionarie’. Su questo tema, la decisione di Obama ha scatenato un infiammato dibattito interno, che probabilmente animerà le presidenziali americane del 2016. Alcuni candidati repubblicani hanno subito bollato la riapertura delle relazioni diplomatiche con Cuba come un regalo a un regime repressivo.
L’ex governatore della Florida Jeb Bush ha affermato che Obama ha legittimato la repressione a Cuba, ignorando la causa della democrazia. Sullo stesso tono il senatore repubblicano Marco Rubio, figlio di immigrati cubani, che ha criticato l’amministrazione Obama per aver fatto concessioni ad un governo repressivo e non aver ottenuto nulla sui diritti umani in mesi di negoziati. La maggioranza dei democratici difende invece la riapertura a Cuba, sostenendo che 50 anni di embargo unilaterale sono stati inutili ed hanno causato problemi nel continente americano e con molti alleati.
Il Congresso, a maggioranza repubblicana, cerca di rallentare la strategia del Presidente sfruttando il proprio controllo sulle spese del governo; infatti, il Congresso non può fermare la diplomazia, ma blocca i fondi destinati al personale della nuova ambasciata nell’isola. Inoltre, soltanto il Congresso ha il potere di porre termine all’embargo su Cuba; cosa che i repubblicani non prendono neanche in considerazione.
La questione dei diritti umani è centrale anche nei rapporti tra Cuba e l’Unione Europea. Nel febbraio 2014, l’Europa ha varato delle linee guida per un accordo di ‘dialogo politico e di cooperazione’ con l’isola. Negli incontri bilaterali, avviati a l’Havana qualche mese dopo, si lavora per mettere a punto i contenuti: Cuba mira ad una intensificazione dei rapporti economici con uno dei suoi principali partners, ma gli Europei mettono sul tavolo la questione dei Diritti Umani e la grande distanza su questo tema.
Castro sta cercando di governare l’uscita dall’embargo americano, per evitare l’avvitamento verso una povertà sempre più diffusa. Il regime vuole anche mantenere il controllo di questo processo e tiene stretta la presa temendo di essere travolto da possibili sviluppi interni. I precedenti dei grandi regimi comunisti indicano che lo sviluppo economico “all’occidentale” è necessario per la loro sopravvivenza; la Cina comunista ha avuto sinora successo. Gorbacëv lanciò il nuovo corso troppo tardi, quando il colosso sovietico era ormai al collasso.