Importanti rivelazioni sul caso Marò. Alcune carte depositate dall’India al Tribunale del Mare di Amburgo, secondo quanto riportato oggi dal Quotidiano Nazionale, potrebbero scagionare dalle accuse di omicidio i due fucilieri della marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
Nella relazione dell’autopsia emergerebbe infatti che i proiettili che hanno ucciso i pescatori indiani sono diversi da quelli in dotazione ai marò. Il referto autoptico parla infatti di un’ogiva, estratta dall’anatomopatologo K.S. Sasikala dal corpo di una delle vittime, lunga 31 millimetri con una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella parte più larga.
I mitragliatori Beretta AR 70/90 e Minimi utilizzano proiettili calibro 5,56 Nato, certamente incompatibili con quelli estratti dal corpo dei due pescatori. Ma ci sarebbe di più. “Le testimonianze – spiega il giornale – sono l’allegato numero 46 delle carte che l’India ha depositato al Tribunale internazionale per il diritto del mare, e sono state raccolte il 30 luglio 2015”.
Il comandante del peschereccio Freddy Bosco, 34 anni, residente nello stato meridionale del Tamil Nadu, e il marinaio Kinserian, 47 anni, “dichiarano ‘onestamente e con la massima integrità’ che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante ‘finì sotto il fuoco non provocato improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi‘”.
Entrambi sbagliano nello stesso modo il nome della petroliera, la Enrica Lexie. Entrambi aggiungono inoltre che i ‘tiri malvagi’ hanno provocato la ‘tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke‘. La loro vita è descritta nello stesso modo come: ‘Indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti. La nostra ordalia non è finita’”.
Stesse dichiarazioni anche da parte del “terzo pescatore Michael Adimai, sentito il 4 agosto. Anche lui parla di spari ‘senza preavviso e provocazione’. Denuncia ‘Un’incommensurabile agonia mentale e un fardello finanziario che continua tuttora’. Come gli altri due testimoni denuncia la sua incapacità di portare avanti ‘le attività quotidiane'”.
Il Quotidiano Nazionale riporta infine un ulteriore aspetto controverso. Il Gps del peschereccio indiano “non fu consegnato da Bosco alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. Insomma, volendo, ci fu tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall’apparecchio”.