Il problema delle allergie alimentari è in continuo aumento: in una città come Roma ci sono almeno 20.000 bambini allergici ad alimenti, nel Lazio 50.000. Le allergie alimentari interessano infatti il 2-3% dei bambini al di sotto dei tre anni, l’1-3% di quelli in età scolare e prescolare e l’1% degli adolescenti.
I bambini allergici ad alimenti che frequentano la comunità infantile si “concentrano” pertanto nei Nidi d’infanzia e nelle Scuole Materne, ma un numero tutt’altro che trascurabile è ancora presente nelle scuole dell’obbligo. Molti sono i problemi che i bambini con allergia alimentare e le loro famiglie devono affrontare quotidianamente: economici, psicologici, pratici, sociali. In particolare la frequenza della scuola e della mensa scolastica porta con sé:
– Difficoltà a far accettare i bambini allergici ad alimenti nelle Scuole Materne e nei Nidi e/o a far frequentare loro la mensa scolastica (“no, signora, noi non garantiamo”);
– Senso di diversità e di emarginazione rispetto ai compagni;
– Menù scolastici poco variati e ripetitivi, spesso diversi da quelli dei compagni;
– Senso di ansietà da parte dei genitori, dei bambini e dei loro insegnanti legato al timore di reazioni in caso di assunzione accidentale di alimenti allergenici. I sintomi che ad esse possono conseguire possono essere in alcuni soggetti di particolare gravità: insorgono generalmente entro pochi minuti dall’esposizione ed evolvono rapidamente, coinvolgendo diversi organi e apparati e mettendo potenzialmente in pericolo la vita del bambino.
Nelle scuole medie non è raro che per scherzo o per bullismo i compagni obblighino il bambino con allergia alimentare a ingurgitare l’alimento responsabile, con conseguenze talora tragiche. Le mense delle scuole sono di regola attrezzate, ma il servizio è messo in difficoltà dal fatto che questa è una patologia varia. Esiste per esempio “una” celiachia, e quindi “una” dieta per celiaci; ma ogni bambino ha la sua allergia alimentare e quindi ci debbono essere tante diete quanti sono i bambini con allergia alimentare. Diete che debbono essere costruite sul certificato di esenzione rilasciato dall’allergologo o dal pediatra. Ora, non sempre i certificati di esenzione vengono rilasciati dopo un appropriato iter terapeutico. A volte sono costruiti su congetture. A volte su eccessive cautele. A volte accarezzano il desiderio di non far mangiare ai propri bambini alimenti che loro non amano. O alimenti per i quali i genitori non si fidano della ristorazione scolastica (tipicamente, il pesce).
Non esiste una banca-dati sul numero di certificati per allergia alimentare, ma da una informale indagine presso alcune scuole materne italiane si aggirano attorno all’8%: una percentuale ben più alta di quella degli allergici. Molti recitano “affetto da intolleranza alimentare”, una diagnosi che non esiste in medicina. Molti fanno riferimento a test di scatenamento di cui si attende l’esito, ma l’esito di quei test non arriva mai durante l’anno scolastico.
In alcuni Paesi europei e negli USA esistono normative di legge che regolamentano l’approccio da parte degli insegnanti a bambini che possono presentare reazioni anafilattiche in seguito all’assunzione accidentale di alimenti allergenici: gli operatori sono informati di tale rischio e istruiti (nonché autorizzati) a riconoscere tempestivamente le reazioni e a farvi fronte. Sono inoltre dotati dei farmaci e degli strumenti che consentano loro tale intervento, nonché di tutti i numeri di emergenza da contattare in caso di assunzione accidentale.
Non sono attualmente presenti in Italia analoghe disposizioni legislative. A ciò consegue un ovvio disagio misto a timore da parte degli insegnanti, che da un lato si sentono responsabilizzati nei confronti del bambino allergico ma dall’altro hanno “le mani legate” per quanto riguarda qualunque intervento terapeutico, che spesso non sanno né quando né come mettere in atto; la somministrazione di farmaci a scuola suscita inoltre remore da parte degli insegnanti, che sostengono di non essere autorizzati né tutelati in merito.
Non è chiaro tuttavia se, a fronte di un action plan firmato dal medico e di un’autorizzazione-delega da parte dei genitori, gli insegnanti possano (debbano?) praticare l’adrenalina autoniettabile (farmaco salva-vita, utilizzabile anche dai “non-addetti ai lavori”) in caso di comparsa di reazioni anafilattiche a scuola.
Di conseguenza le famiglie dei bambini allergici affidano il loro bambino alla scuola con fiducia ma anche con grande preoccupazione. Progetti di formazione nelle scuole sono stati prodotti a Torino e a Milano, a opera di associazioni di genitori, allo scopo di formare gli insegnanti e gli educatori a conoscere, prevenire, riconoscere e saper trattare le reazioni conseguenti all’assunzione accidentale di alimenti allergenici. A Roma per ora non sono note esperienze simili.
(Fonte: Ospedale Bambin Gesù)