Quasi 5 anni fa, i giudici iraniani lo hanno condannato a 6 anni di reclusione e a 20 senza dirigere, scrivere e produrre film: ma Jafar Panahi le regole ha deciso di infrangerle regolarmente, e da allora ha realizzato tre pellicole.
L’anno successivo, nel 2011, era già a Cannes con “This Is Not a Film“, conservato avventurosamente in una chiavetta USB, mentre nel 2013 sbarcò a Berlino con “Closed Curtain“. Al cinema adesso ritorna con “Taxi Teheran“, il primo film con cui il regista iraniano esce di casa, guidando un taxi, sfondando le censure e tutto quello che lo Stato non vorrebbe mostrare all’estero.
E così si susseguono, uno dopo l’altro, i passeggeri nel taxi di Panahi, a raccontare le loro storie, le loro porzioni di realtà, in una confessione che probabilmente è strutturata con un copione ma abilmente orchestrata per essere un documentario.
E nel frattempo è già un successo in Italia: all’Eden di Arezzo, la coda, giovedì sera, arrivava dalla scaletta al botteghino. Erano in oltre 300: subito sono stati fotografati e mandati al regista iraniano, che del suo successo sarà sicuramente contento.