È il disco più conosciuto di Bruce Springsteen, il disco di “Thunder Road” e “Tenth Avenue Freeze-Out“, il disco che portò al successo internazionale un ragazzo del New Jersey forse ancora un po’ acerbo, l’occasione che arriva una volta nella vita e non torna più. “Born to Run” usciva esattamente 40 anni fa, il 25 agosto del 1975, tra la riluttanza di Springsteen – che aveva paura di dare in stampa un disco ancora imperfetto – e l’insistenza dei discografici – che non capivano cosa potessero ancora dare i musicisti alle idee di Springsteen.
Prima di “Born to Run”, Springsteen si era già presentato alle folle con i suoi intensi concerti, maratone nella tradizione della musica pop statunitense, in parte tributo alla musica soul, al rhythm and blues, al pop spettrale di Phil Spector, al rock and roll nero à la Chuck Berry. Dalla sua c’erano già due album in studio, l’esordio “Greetings from Asbury Park, N. J.” e l’opera seconda “The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle“.
La critica era unanime, Springsteen era una garanzia. Lo aveva intuito anche John Hammond, della Columbia, lo stesso discografico che mise sotto contratto Bob Dylan, quando lo scelse dopo aver ascoltato le demo di “Growin’ Up” e “It’s Hard to Be a Saint in the City”. A Springsteen mancavano soltanto i numeri, le vendite dei dischi. E così, “Born to Run”, scritto nella casa che Springsteen aveva affittato a Long Branch, nel nativo New Jersey, si trasformò nel suo tutto e per tutto.
A 40 anni dall’uscita dell’album, ecco alcune chicche da conoscere per chi vuole sapere realmente tutto sul disco che proiettò Bruce Springsteen nell’Olimpo delle rockstar:
1. A GRAN RICHIESTA DEI FAN – Come fosse una prova generale per il disco, il manager di Springsteen, Mike Appel, diede alcune copie in acetato del singolo “Born to Run” – ancora non mixate come la versione finale – al DJ della WMMR di Philadelphia Ed Sciaky. Era il novembre del 1974, il 33 giri sarebbe uscito a distanza di 9 mesi, ma dopo i primi passaggi radiofonici, il nuovo singolo di Springsteen fu già un successo. I telefoni della radio vennero intasati dalle richieste degli ascoltatori, che volevano sapere: “Qual è quella canzone che è appena passata? Ah, sì, Bruce Springsteen. Potete passare qualcos’altro di suo?”.
2. L’INFLUENZA SURF – Una delle prime esibizioni in cui Springsteen suonò “Born to Run” – la canzone, non il disco, che è stato eseguito integralmente per la prima volta soltanto il 7 maggio 2008, al Count Basie Theatre di Red Bank, New Jersey – venne seguita dall’allora giornalista del Real Paper Jon Landau, poi divenuto manager dell’artista sino al 1992. Non sapendo come definire il riff di chitarra di “Born to Run”, Landau lo paragonò al sound surf di “Telstar”, la hit dei Tornadoes, e di Eddie Cochran, l’autore di “Summertime Blues”.
3. IL FUTURO DEL ROCK AND ROLL – Durante quello stesso concerto, all’Harvard Square Theatre di Cambridge, Massachusetts, Landau disse di avere visto “il futuro del rock and roll”. La frase integrale, riportata sul Real Paper del 22 maggio 1974, recita: “Giovedì scorso, all’Harvard Square Theatre, ho visto il mio passato di rock and roll passare velocissimo davanti ai miei occhi. E ho visto qualcos’altro: ho visto il futuro del rock and roll, e il suo nome è Bruce Springsteen. E in una notte in cui sentivo il bisogno di sentirmi giovane, lui mi ha fatto provare cosa significa ascoltare la musica per la prima volta nella vita“.
4. BOB DYLAN, PHIL SPECTOR E ROY ORBISON – L’idea di Springsteen, che aveva concepito il disco nelle sue notti solitarie nella casa di Red Bank, era quella di combinare i musicisti che più lo avevano influenzato in un unico album: voleva imitare Phil Spector nella produzione di un “muro di suono”, Dylan nella scrittura e Roy Orbison (citato nei primi versi di “Thunder Road”) nel modo di cantare.
5. UNA NUOVA BAND – “Born to Run” vede entrare in studio la formazione definitiva della E Street Band, il gruppo che accompagna tutt’ora Springsteen in concerto. Al posto di Clarence “Boom” Carter, il batterista che aveva dato quel tocco a metà tra jazz e blues a canzoni come “Rosalita” (ma anche la stessa “Born to Run”, registrata quando lui era ancora in formazione), entra Max Weinberg (sua ad esempio la batteria in crescendo di “Backstreets”); David Sancious venne invece sostituito dal più essenziale Roy Bittan.
6. SMANIE DI PERFEZIONE – Uno degli idoli di Springsteen è sempre stato il Beach Boy Brian Wilson, noto per il suo perfezionismo maniacale in studio di registrazione. Secondo quanto raccontato dai musicisti che accompagnavano il Boss in sala d’incisione, anche Springsteen divenne maniacale con il suono di “Born to Run”, l’album che doveva riscattarlo definitivamente dai mezzi fallimenti commerciali dei primi dischi. La band usciva dallo studio solamente per andare a suonare dal vivo, e i discografici smaniavano per ricevere le copie del disco e metterle sul mercato: quando finalmente Springsteen si convinse, l’amico e produttore Jon Landau gli diede un consiglio importantissimo. “Anche se il disco secondo me adesso è perfetto – disse l’allora giornalista – c’è una buona probabilità che non lo sia. C’è una buona probabilità che lo andremo a risentire, vedendoci cose che da un’altra prospettiva non sembreranno perfette. Ma – pensaci – è la vita”.
7. UN MONUMENTO ALL’AMICIZIA – La copertina di “Born to Run” è una vera icona dell’immaginario rock, ma non solo. Venne scattata dal fotografo Eric Meola, che in 3 ore realizzò 900 scatti in cui Bruce Springsteen si affianca al sassofonista e fraterno amico Clarence “Big Man” Clemons. Al collo del cantante, la storica Fender Telecaster modificata con il manico di una Esquire; Big Man regge invece il sassofono. In quella copertina, Springsteen e Clemons – scomparso per un infarto nel 2011, a 69 anni – diventano il simbolo dell’amicizia che supera i confini del tempo, un tema che ritorna prepotente in “Backstreets” (“One soft infested summer, me and Terry became friends, tryin’ in vain to breathe the fire we was born in”) e “Tenth Avenue Freeze-Out”, vera e propria ode al sassofonista e amico Clarence Clemons.
8. FUORI DAGLI U.S.A. – Dopo i concerti su e giù per gli Stati Uniti, “Born to Run” segna la prima volta di Springsteen fuori dal proprio paese. Il concerto in Europa si tenne all’Hammersmith Odeon di Londra, il 18 novembre del 1975, davanti a una platea in cui si riconoscevano i volti di Peter Gabriel e dei Monty Python. Durante l’esibizione, che nel 2006 è stata pubblicata su CD, Springsteen e il resto della band si esibirono con tutta l’energia e l’intimità che avevano maturato negli anni passati sui palchi americani. Tutto questo nonostante la forte pressione esercitata dalla stampa musicale dell’epoca, che aveva già visto in Springsteen la “next big thing” d’oltreoceano. I giornalisti erano pronti a far cadere il musicista e la sua band, che per tutta risposta girò per Londra a staccare i manifesti in cui veniva pubblicizzato come “the Next… Big… Thing”. E li fece ricredere in una sola notte.