Martina Levato “ha ordito e commesso azioni gravissime, anche con l’uso di sostanze pericolose e potenzialmente dannose per la propria salute e per quelle del bambino che portava in grembo”. A stabilirlo i giudici del tribunale per i minorenni di Milano, nell’ordinanza, depositata oggi, con la quale hanno disposto il suo trasferimento in carcere e l’affidamento del figlio, nato il 15 agosto scorso, a una comunità per minori. La giovane, condannata a 14 anni insieme al compagno Alexander Boettcher per aver aggredito e sfigurato con l’acido Pietro Barbini, “ha riferito – sta scritto nelle carte – di aver agito nel confronti della vittima per ‘purificarsi’ dai rapporti sessuali intrattenuti con soggetti diversi dal suo partner e così diventare una madre e una compagna degna”.
Il tribunale “ha comunque considerato entrambi i genitori capaci di intendere e volere, ritenendo provato quale movente del delitto ‘l’odio e il proposito di vendetta (…)'”.
Una condotta che per i giudici evidenzia “una assenza di pensiero e di sentimento rispetto alla vita che si stava formando“.
Il “progetto procreativo e genitoriale” – si legge ancora – non pare quindi espressione dell’amore di due genitori che vedono nel bambino la realizzazione della propria unione anzi sembra essersi sviluppato insieme al progetto criminoso, che prende forma all’interno di una complessa relazione di coppia, caratterizzata da aspetti fortemente problematici e anche patologici (…)”.
Il bambino, quindi, “è stato completamente messo in secondo piano rispetto al loro progetto criminoso, sganciato dalla centralità che un figlio dovrebbe avere nel pensiero dei genitori”.