Nuovo importante passo in avanti nella lotta alla depressione post-partum, un male spesso silenzioso ma devastante. Se ne parla poco, per molte persone è impensabile che una neomamma possa esserne sopraffatta e invece una su cinque si trova a doversi confrontare con un malessere che spesso viene sottovalutato, o peggio, ignorato.
Sembra che tutto sia scritto nel Dna, e che per quantificare il rischio sia sufficiente analizzare la sequenza e la struttura di OXTR, gene codificante per il recettore dell’ossitocina o “ormone dell’amore”, che svolge un ruolo positivo nel legame materno, le relazioni, lo stress, l’umore e la regolazione delle emozioni.
I ricercatori hanno esaminato i casi di 14.541 gravidanze che si sono verificati tra l’aprile 1991 e il dicembre 1992 e confrontato campioni di sangue prelevati durante le settimane 7 e 41 di gravidanza, sia delle mamme che avevano poi successivamente sviluppato depressione che di quelle cui non era stata diagnosticata.
La depressione post partum dura molto più a lungo di un paio di settimane e, oltre a stanchezza e stress, è caratterizzata da mancanza di desiderio di contatto con gli altri, disconnessione con il proprio figlio, paure estreme rispetto alla sua salute, sensi di colpa e insonnia.
Questa depressione incide sullo sviluppo del bambino, sia comportamentale che cognitivo. Adesso una nuova ricerca della University of Virginia ha stabilito che un marcatore del sangue potrebbe aiutare a individuare nelle donne una predisposizione alla depressione post-partum.
Ne è emerso che, se i livelli del gene recettore dell’ossitocina (OXTR) sono bassi, la donna, pur senza particolari fattori di rischio, è maggiormente esposta a sviluppare depressione nel dopo parto. “Sappiamo che le donne che hanno sperimentato la depressione prima della gravidanza sono a più alto rischio di sviluppare depressione dopo il parto. Tuttavia, anche coloro che non hanno mai sperimentato la depressione possono averla dopo il parto. Questi marcatori genetici che abbiamo identificato ci aiutano a identificarla in anticipo”, ha detto Jessica Connelly, autore senior dello studio pubblicato sulla rivista “Frontiers in Genetics”.