Decine di migliaia di persone sono confluite al memoriale e cimitero di Potocari, in Bosnia orientale, per partecipare alla commemorazione delle oltre otto mila vittime – 8.372 la cifra ufficiale non definitiva – del genocidio di Srebrenica del 1995.
Durante la cerimonia, tumulate le spoglie di 136 vittime identificate col test del Dna negli ultimi 12 mesi. Negli anni passati nel cimitero di Potocari sono state già sepolte le spoglie di 6.241 massacrati nel luglio 1995. Ieri sera sono giunti a Potocari anche i 9 mila partecipanti della Marcia della pace, che in tre giorni hanno percorso all’incontrario la marcia, attraverso i boschi, dei 15 mila uomini di Srebrenica in fuga verso Tuzla, dove solo in pochi arrivarono.
Alla commemorazione 50 mila persone – per l’Italia la Presidente della Camera Laura Boldrini – , tra cui l’ex presidente Usa Bill Clinton, i presidenti di Slovenia, Croazia, Montenegro, i primi ministri di Turchia, Albania e Serbia, la regina Noor di Giordania, oltre a numerosi ministri degli esteri.
Non è mancata però la solita tensione. Il premier serbo Alaksandar Vucic ha lasciato la cerimonia dopo essere stato colpito da una pietra lanciata dalla folla che lo stava contestando.
“Era orribile, hanno lanciato sassi, scarpe, qualunque cosa avessero sotto mano – racconta un membro della delegazione serba – La folla gridava cetnici, tornate a casa. Il primo ministro è stato colpito da una pietra in faccia che gli ha rotto gli occhiali, leggere le ferite, solo tanta paura. Gridavano Allah è grande”
Le atrocità commesse nella città bosniaca con il massacro di 8.372 uomini e bambini musulmani commesso dalle forze serbo-bosniache al comando del generale Ratko Mladic: oggi giornata di lutto nazionale in tutta la Bosnia-Erzegovina.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del ventesimo anniversario di Srebrenica, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
“Il genocidio di Srebrenica è la tragedia umana più grave che si è consumata in terra europea dopo la fine della seconda guerra mondiale. Fu una sconfitta dell’umanità, il cui peso morale e politico grava ancora sulla comunità internazionale per l’incapacità di prevenire i conflitti che dilaniarono la Jugoslavia, con le tremende atrocità che li caratterizzarono, e di attuare strategie in grado almeno di arrestarli e di salvare vite umane. Oggi, a vent’anni da quell’immane tragedia, avvertiamo il dovere di coltivare la memoria e interrogare la nostra coscienza affinché mai eventi simili abbiano a ripetersi. È necessario continuare a perseguire i responsabili di violenze così atroci, evitando al tempo stesso che il disonore e l’infamia sia fatta ricadere su interi popoli.
Solo se vi sarà giustizia sarà possibile lenire almeno in parte l’enorme sofferenza delle madri e di tutti coloro che hanno perso familiari e amici. Solo in nome della giustizia sarà possibile, per la Bosnia-Erzegovina, completare un percorso di autentica riconciliazione nazionale e quindi di pace, sicurezza, convivenza tra le diversità etniche e religiose. È questa una sfida decisiva della nostra epoca, a cui l’Europa intera è chiamata. Da come riusciremo a far convivere nel nostro Continente le culture e le religioni diverse – assicurando la libertà delle persone e delle comunità – dipenderà la pace mondiale e il ruolo attivo dell’Europa nel mondo. Muovendo dai momenti più tragici della sua storia, la Bosnia Erzegovina è chiamata oggi, con l’intera regione dei Balcani, a guardare avanti, al suo futuro. Un futuro che potrà trovare nell’integrazione europea il suo approdo, per una pacificazione definitiva. Nel cammino lungo la strada intrapresa, la Bosnia Erzegovina potrà sempre contare sull’amicizia e il sostegno politico dell’Italia, come già avvenuto concretamente in passato. Il nostro auspicio è che tutta l’Europa sappia assumersi oggi questa responsabilità storica: lo dobbiamo, in nome di tutte le vittime di quelle guerre, ai giovani e ai popoli balcanici”.
Matteo Renzi invece ha usato i canali social per rilasciare le sue dichiarazioni.
In un lungo post su Facebook, il premier ha ricordato il genocidio:
Ho molti ricordi del luglio del ’95: la vittoria di Sampras su Becker a Wimbledon in 4 set, Indurain che stava per vincere il quinto Tour, le proteste per gli esperimenti nucleari a Mururoa, una canzone di Pino Daniele che trasmettevano sempre in radio, l’esame di Filosofia del Diritto. Ma di quello che era successo a Srebrenica in quei terribili giorni di luglio si seppe pochissimo per molto tempo. E quando ricevemmo notizia, rimanemmo tutti sgomenti.
A poche centinaia di chilometri dalle nostre case, parole come pulizia etnica e genocidio che speravamo rimanessero solo nei ricordi drammatici dei nostri nonni erano di nuovo atrocemente realtà in Bosnia, qui in Europa. L’11 luglio del 1995, più di 8000 musulmani furono trucidati dalle milizie serbo-bosniache e gettati in fosse comuni, sotto gli occhi indifferenti dell’Europa e del mondo.
C’è una nenia che ricorda le vittime, si chiama L’Inferno di Srebrenica e fa così: ‘Sorella, fratello, vi sogno ancora ogni notte/ non ci siete, non ci siete, non ci siete / vi sto cercando, vi sto cercando, vi sto cercando / ovunque io vada, vi vedo / mamma, sorella, perché non ci siete’. A sentirla mette i brividi, ancora oggi.
Ci sono molte responsabilità, innanzitutto politiche, per quello che è successo nel Balcani 20 anni fa. La mia generazione è cresciuta avendo negli occhi quel dolore e quella strage. Ci siamo detti allora, mai più permetteremo che questo succeda qui a casa nostra. Per questo una parte del nostro impegno politico è nato lì, in Bosnia, a Sarajevo, a Srebrenica. L’Unione europea è nata per portare pace e prosperità nel continente, l’allargamento ad est avvenuto in questi 10 anni ha avuto questo obiettivo. Non abbiamo mai pensato che il nostro compito fosse costruire soltanto un’unione monetaria, piuttosto una comunità politica, un’Europa dei popoli.
E proprio in questi giorni la commemorazione del massacro di Srebrenica ha un peso maggiore: ci obbliga a ricordare i valori fondanti dell’Europa e a rinnovare l’impegno a costruire un luogo di pace e di futuro per i nostri figli.