Ieri era stato approvato il primo articolo, oggi l’aula della Camera ha dato lo star bene per le nuove norme sulla diffamazione a mezzo stampa con 295 sì, 3 no e 116 astenuti. Niente più reclusione in carcere per i giornalisti, sono previste soltanto pene pecuniarie, con l’obbligo di rettifica, senza commento, a favore dell’offeso.
Il disegno di legge ritornerà adesso al Senato per il quarto passaggio parlamentare. Andrebbe a sostituire la legge n. 47 dell’8 febbraio 1948, e il codice penale in materia di diffamazione, includendo anche le testate giornalistiche online e quelle radiotelevisive.
Per chi si macchierà di diffamazione a mezzo stampa, non è più prevista la galera: al suo posto, una multa che parte da un minimo di 5mila euro e arriva a un massimo di 10mila. Cambia l’importo se il fatto attribuito è consapevolmente falso: in quel caso, la cifra andrà da un minimo di 10mila euro a un massimo di 50mila. Alla condanna viene associata la pena della pubblicazione della sentenza, mentre in caso di recidiva il giornalista potrà essere anche interdetto dall’esercizio della professione, da un minimo di un mese a un massimo di sei. In caso di rettifica tempestiva, il giudice valuterà se punire il giornalista.
Vengono soppresse due vecchie norme: la prima prevedeva che il direttore rispondesse degli articoli non firmati, la seconda riguardava il diritto all’oblio, cioè a eliminare da siti e motori di ricerca le informazioni diffamatorie.
Nel caso in cui non si tratti di diffamazione dolosa, quanto sarà pagato dal direttore o dall’autore della pubblicazione “a titolo di risarcimento del danneggiato” avrà “natura di credito privilegiato nell’azione di rivalsa nei confronti del proprietario o editore della testata”.
Le rettifiche e le smentite andranno pubblicate senza commento e risposta, facendo espressa menzione del titolo, della data e dell’autore dell’articolo che è stato bollato come diffamatorio. Il direttore dovrà informare della richiesta l’autore del servizio. A seconda dei diversi media, ci saranno tempi e modalità di pubblicazione diversi: in caso di inerzia, l’interessato potrà chiedere al giudice un ordine di pubblicazione, il cui mancato rispetto farà scattare una sanzione che va da un minimo di 8mila a un massimo di 16mila euro.
La pena sarà poi commisurata alla diffusione e alla rilevanza della testata, alla gravità dell’offesa e all’effetto riparatorio ottenuto dalla rettifica. L’azione civile non potrà essere esercitata dopo i due anni dalla data di pubblicazione dell’articolo ritenuto diffamatorio.
Anche i giornalisti pubblicisti, d’ora in poi, potranno opporre al giudice il segreto professionale sulle proprie fonti: sinora questa era stata un’esclusiva dei giornalisti professionisti.
Se c’è un nesso di causalità tra omesso controllo e la conseguente diffamazione, il direttore (o il suo vice) risponderanno a titolo di colpa, ma la pena è ridotta a un terzo e non è prevista l’interdizione dalla professione di giornalista.
Chi querela, e lo fa temerariamente, potrà essere condannato al pagamento di una somma che parte da un minimo di mille a un massimo di 10mila euro.