È Tacito l’autore proposto al liceo Classico per la versione di latino con il suo “Gli ultimi giorni di Tiberio” (VI paragrafo 50 annales).
Quest’anno – per la prima volta – la versione è accompagnata da una breve introduzione che spiega il contesto: “Un famoso medico, tastando il polso dell’imperatore Tiberio, ne pronostica la fine imminente: dopo pochi giorni l’imperatore viene creduto morto. Mentre Caligola inizia a gustare le primizie del potere, improvvisamente Tiberio si riprende…”.
Tacito non “usciva” alla Maturità dal 2005.
Questo il testo originale:
Iam Tiberium corpus, iam vires, nondum dissimulatio deserebat: idem animi rigor; sermone ac vultu intentus quaesita interdum comitate quamvis manifestam defectionem tegebat. Mutatisque saepius locis tandem apud promunturium Miseni consedit in villa cui L. Lucullus quondam dominus. Illic eum adpropinquare supremis tali modo compertum. Erat medicus arte insignis, nomine Charicles, non quidem regere valetudines principis solitus, consilii tamen copiam praebere. Is velut propria ad negotia digrediens et per speciem officii manum complexus pulsum venarum attigit. Neque fefellit: nam Tiberius, incertum an offensus tantoque magis iram premens, instaurari epulas iubet discumbitque ultra solitum, quasi honori abeuntis amici tribueret. Charicles tamen labi spiritum nec ultra biduum duraturum Macroni firmavit. Inde cuncta conloquiis inter praesentis, nuntiis apud legatos et exercitus festinabantur. Septimum decimum kal. Aprilis interclusa anima creditus est mortalitatem explevisse; et multo gratantum concursu ad capienda imperii primordia G. Caesar egrediebatur, cum repente adfertur redire Tiberio vocem ac visus vocarique qui recreandae defectioni cibum adferrent. Pavor hinc in omnis, et ceteri passim dispergi, se quisque maestum aut nescium fingere; Caesar in silentium fixus a summa spe novissima expectabat. Macro intrepidus opprimi senem iniectu multae vestis iubet discedique ab limine. Sic Tiberius finivit octavo et septuagesimo aetatis anno.
Questa la traduzione:
Ormai le forze fisiche e le energie spirituali erano venute meno, ma la dissimulazione non aveva ancora abbandonato Tiberio: il rigore dell’animo (era) lo stesso. Irrigidito nel parlare [lett. “nel discorso”] e nel volto, talvolta nascondeva con affettata cordialità il deperimento, per quanto manifesto. E mutata (sempre) più spesso località, alla fine si stabilì presso il promontorio di Miseno in una villa che un tempo era appartenuta [lett. “di cui era stato proprietario”] a Lucio Lucullo. Si venne a sapere che qui lui si stava avvicinando alla morte [lett. “ai funerali”] in questo modo. C’era (lì) un medico notevole nel lavoro, di nome Caricle, (il quale) se proprio non regolava la salute del principe, tuttavia offriva abbondanza di consigli. Costui, come allontanandosi per affari propri, dopo avergli stretto la mano fingendo [lett. “sotto l’aspetto di”] un ossequio, sentì il battito delle vene e confermò a Macrone che lo spirito stava venendo meno e che non sarebbe sopravvissuto oltre due giorni. Il 16 marzo [lett. “il diciassettesimo giorno prima delle Calende di Aprile”], allontanatasi l’anima, si credette che avesse terminato la vita [lett. “la mortalità”], e Gaio Cesare, con una folta schiera di gente che si rallegrava (con lui), usciva per cogliere i primi istanti dell’impero, quando, improvvisamente, venne riferito che a Tiberio erano ritornati la voce e la vista e che chiamava perché gli portassero cibo per riaversi dal malessere. In tutti, dunque, (si diffuse) il terrore, e alcuni si disperso qua e là, ciascuno si finegeva mesto o che non sapeva. Macrone, invece, comandò che il vecchio fosse soffocato con un viluppo di molte vesti e che (gli altri) si allontanassero dalla soglia. Così morì Tiberio nel settantottesimo anno d’età.