L‘Onu ha iniziato – in modo discreto – a proporre test del Dna per cercare i padri dei cosiddetti “peacekeepers baby”, i bambini nati dai rapporti sessuali dei caschi blu con le donne dei Paesi nei quali si trovano ad operare.
La decisione è stata presa dalle Nazioni Unite dopo la diffusione del rapporto Oios – i servizi di investigazione interna dell’Onu – secondo il quale peacekeeper schierati in diversi Paesi del mondo avrebbero preteso “abitualmente” prestazioni sessuali in cambio di cibo, denaro, vestiti, telefonini e profumi.
Secondo quanto affermato dal responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Raad al-Hussein, i bimbi nati da tali rapporti vivono in condizioni disperate e stabilire una eventuale paternità potrebbe consentire loro di ricevere un aiuto. Il test non è obbligatorio, e si tratta in ogni caso di una questione delicata perché i Paesi che contribuiscono al dispiegamento dei caschi blu potrebbero non accogliere con favore una pratica in grado di rivelare non solo la genitorialità, ma anche gli abusi commessi.
Il dossier Oios segnala che le denunce di abusi sessuali sono state 480 nel periodo compreso fra il 2008 e il 2013, e riguardano in particolare le missioni in Congo, Liberia, Haiti, Sud Sudan. Un terzo dei casi vede coinvolte minorenni.