L’integrazione culturale inizia dalla tavola. Nei piatti dei bambini non solo pasta e riso, ma anche sorgo, miglio e quinoa. E ancora, non solo pomodori e melenzane, ma anche germogli di bamboo e foglie di cassava. E per quanto riguarda la frutta? Litchis e papaya accanto a mele, arance e ciliegie. A promuovere questa nuova strategia nutrizionale, nell’anno dell’Expo sul tema “Nutrire il Pianeta”, è la Società Italiana di Pediatria che, in occasione del 71° Congresso Italiano di Pediatria che si tiene a Roma dal 4 al 6 giugno, presenta la Piramide alimentare “transculturale”, un sistema attraverso il quale basare l’alimentazione dei bambini su alimenti “globalizzati”. Lo scopo è far incontrare i principi di salute della dieta mediterranea – patrimonio culturale immateriale dell’umanità secondo l’UNESCO – con i sapori delle altre popolazioni che vivono nel nostro Paese, all’insegna dello slogan “il cibo unisce”.
Stando a Giovanni Corsello, Presidente della Società Italiana di Pediatria, data la forte migrazione di popolazioni dall’Africa e dal Medio Oriente in fuga verso l’Europa, bisogna cercare di inserire i bambini, in quanto sono proprio loro a soffrire il peso dello sradicamento dal territorio in cui sono nati e, quindi, la loro integrazione potrebbe essere favorita nel momento in cui riescano ad assaporare i gusti abituali nel paese ospitante.
In Italia, infatti, vivono circa un milione di minori stranieri regolari pari al 10% della popolazione minorile. I Paesi d’origine sono l’Europa centrorientale, l’Africa del nord, l’Asia, in particolare la Cina, e l’America Meridionale. La maggioranza dei minori stranieri regolari è nata in Italia e costituisce la “seconda generazione”, più integrata con i nostri stili di vita rispetto ai bambini nati nei “Paesi a risorse limitate” e poi trasferitisi in Italia. Ai minori migranti regolari si aggiungono i bambini stranieri irregolari, difficilmente censibili (minori nati da genitori irregolari, nomadi, rifugiati in fuga da guerre o persecuzioni, accompagnati e non) che vivono in condizioni di maggior disagio sociale ed economico.
Ciascun popolo porta con sé modelli nutrizionali e modalità di alimentazione differenti. Ad esempio, in alcuni Paesi il colostro non viene somministrato perché ritenuto impuro e l’allattamento al seno è prolungato oltre il primo anno di vita, favorito da tradizioni culturali o religiose (il Corano lo raccomanda sino a due anni). Per alcune etnie vige il divieto di assumere carne di mucca, mentre altre seguono per fede religiosa diete vegetariane, vegane, zen-macrobiotiche. Compito dei pediatri è conoscere queste tradizioni per soddisfare pienamente i bisogni nutrizionali dei bambini, nel rispetto delle esigenze culturali e religiose dei popoli di appartenenza.
A fronte di cambiamenti così radicali della nostra società il pediatra deve ricostruire il proprio bagaglio di conoscenze su un’alimentazione globalizzata e saper suggerire una strategia nutrizionale facilmente attuabile in ogni parte del mondo. Le indicazioni della piramide transculturale rappresentano un importante tassello di questa nuova strategia nutrizionale e saranno diffuse non solo negli studi pediatrici, ma anche nelle scuole e nelle comunità che accolgono la popolazione pediatrica multiculturale della nostra società.