Dopo la sconfitta ai punti di sabato notte a Los Angeles contro Floyd Mayweather nel match forse più atteso e certamente più costoso della storia della boxe, Manny Pacquiao potrebbe rivolgere in modo prioritario i propri interessi alla politica attiva.
Con un dna da outsider, l’ex bambino di strada cresciuto sui ring senza perdere carica umana e contatto con la sua gente, non è uno sprovveduto e come ha saputo amministrare con determinazione m anche saggezza il patrimonio pugilistico potrebbe essere in grado, secondo molti connazionali, di amministrare uno dei paesi più turbolenti dell’Asia.
Già al secondo mandato come parlamentare, Pacquiao ha investito popolarità e parte degli ingenti guadagni in una carriera politica che ha la sua base nella provincia d’origine di Sarangani, sulla grande isola meridionale di Mindanao. Come racconta l’agenzia Misna, umiltà di origini, determinazione, carisma, forte fede cattolica, unità della famiglia e patrimonio ne fanno un modello per i filippini meno privilegiati in un paese in cui metà della popolazione conosce il benessere solo dalle statistiche ufficiali e ne vede i benefici soprattutto su una minoranza di famiglie e gruppi d’interesse. Un avversario temibile per coerenza e determinazione per le élite eredi di vaste e antiche sostanze oppure di nuove speculazioni.
Per le sue caratteristiche, il pugile è anche un uomo di unità nazionale, indispensabile in una paese geograficamente frammentato, attraversato da tensioni interreligiose, guerriglia e strapotere di forze armate, polizia e burocrazia, ammalato di corruzione profonda e decimato dalla più consistente emigrazione mondiale in rapporto alla popolazione.
A dare fede al suo promoter statunitense, Pacquiao potrebbe concorrere a un seggio in Senato l’anno prossimo per poi presentarsi alle successive presidenziali del 2022. Una strada con non pochi rischi e non solo per i trabocchetti della politica.
Se il pugile-Pacquiao è al di sopra delle parti, la sua vicenda politica è quanto meno deludente, con 70 presenze alla Camera lo scorso anno e la partecipazione alla discussione di sole quattro leggi, nessuna approvata. C’è anche chi sottolinea che per incrementare il suo bottino elettorale, il campione ha dovuto adeguarsi a prassi che fanno della classe politica del suo paese una delle meno credibili e delle più manipolate del continente asiatico. Tendendo anche la mano a potenziali avversari e aprendo la strada a se stesso e ai potenti locali che gli garantissero ampie banche di voti a suon di milioni di dollari. Iniziando, come da tradizione, la propria dinastia politica sostenendo nel 2010 la moglie – priva di qualsiasi esperienza politica – nella corsa alla carica di vice-governatore di Sarangani.
Per i prossimi e prestigiosi traguardi elettorali, tuttavia, simpatia popolare, astuzia da ring e disponibilità economiche potrebbero non bastare. Come sottolinea il docente di Scienze politiche dell’Ateneo de Manila, Benito Lim, il pugile deve non più demolire gli avversari ma costruire una solida piattaforma politica. Occorre, segnala Lim, “una visione innovativa del paese. Questo è ciò che l’opinione pubblica si aspetta da lui”.