Non è una favola e nemmeno un miracolo sportivo. Il Carpi in Serie A è semplicemente una delle più belle pagine che il calcio italiano abbia mai scritto. Se fai a meno di ingaggi milionari, se dietro di te non aleggiano poteri forti o interessi economici, se nel 2009 giocavi in Serie D e adesso stravinci un campionato di B, allora diventa facile comprendere la portata dell’impresa biancorossa.
“Squadra inesperta, mediocre, quasi da Lega Pro“. Ad inizio stagione nessun avrebbe puntato un solo euro sul Carpi. Con un età media di poco più di ventiquattro anni, Castori aveva a disposizione una delle rose più giovani della cadetteria. Nessun big, nessuna prima donna, solo tanti gregari. Da Lollo a Porcari, da Gabriel (portiere di proprietà del Milan) al capocannoniere Mbakogu: tutti “corresponsabili” di una promozione conquistata con quattro giornate in anticipo.
Record? No, l’anno scorso il Palermo fece anche meglio (festa con cinque giornate d’anticipo) . Anche se in campo scendeva gente del calibro di Dybala, Sorrentino, Vazquez ed Hernandez. Insomma, altra storia. E poi ci sono i numeri. Come le 5 sconfitte e le 22 vittorie, come i gol segnati (57) e quelli subiti (25). Settantacinque punti, undici in più del Frosinone (secondo) altra rivelazione del campionato. Eppure il Carpi non piace a tutti, anzi.
“Andrea (Abodi, presidente della Lega di B, ndr), dobbiamo cambiare. Se me porti su il Carpi…se mi porti squadre che non valgono un c…,noi fra due o tre anni non ci abbiamo più una lira. Perché io quando a vado a vendere i diritti televisivi, chi c… li compra i diritti? Non sanno manco che esiste il Carpi…”. Claudio Lotito commentava così al telefono con Pino Iodice, ds dell’Ischia, la sorprendente classifica degli emiliani quando ancora mancavano alcuni mesi alla fine dei giochi.
Inizialmente, in perfetto stile italiano, tutti gli diedero addosso. Poi il dubbio cominciò a serpeggiare un po’ ovunque. È possibile che un club con un monte ingaggi di 3 milioni di euro, meno di quanto percepisce il solo Montolivo al Milan (in tre anni 71 presenze, sette gol e tanti fischi), possa finire in Serie A? È opportuno, prima ancora che giusto?
Se il Chievo, da sempre nel limbo della bassa classifica e considerato una realtà da “libro cuore”, può contare su un totale di 18 milioni (lordi) di ingaggi , come la mettiamo con il Carpi? E poi non ha nemmeno lo stadio, o meglio ce l’ha…anche se in realtà è un velodromo. Come può competere nella massima serie? Ai massimi livelli e a cospetto di nababbi coperti d’oro? Sarebbe quasi tracotanza, un atto irrispettoso.
Come li vendiamo i diritti con il Carpi in A, si chiederebbe un Lotito qualsiasi. In sintesi, è questo il più classico dei paradossi italiani: il merito che si scontra sempre con la forma, con la casta. I diritti sono acquisiti e mai conquistati. Gente come Lollo, Pasciuti, Di Gaudio o Letizia non hanno pedigree, e quindi nessun diritto. Non hanno sponsor, né appeal, e quindi non servono a nessuno.
Al netto del chiacchericcio e dei dubbi italici, l’exploit del Carpi è “rivoluzione” applicata al calcio. Una reazione al calcio moderno, dove a comandare sono i contratti e gli sponsor, e non i valori in campo. Ed è per questo che fa paura. Perché ricorda a tutti che sul rettangolo verde, un po’ come verseggiava Totò a proposito della morte, sono “tutti uguali”. Il calcio è “na livella”, non conta il nome scritto sulla maglia, conta solo chi corre di più e fa più gol.
Rifondare il calcio italiano, oggi non è più una possibilità, ma una necessità. Esaltarsi per una semifinale di Champions e due di Europa League, è pure giusto, comprensibile. Ma se i buoni risultati sono frutto della contingenza e non della programmazione, allora si rischia di fare la fine di Sisifo: dopo un po’ si torna punto e d’accapo. Nuovamente giù in fondo alla rupe.
Il Carpi, invece, può e deve essere letta come un’occasione imperdibile per la Serie A. Una realtà dalla quale imparare a dotarci una nuova scala di valori. Non già un ritorno al passato, ma un modo di guardare al futuro in modo sostenibile. Tornare a pensare più ai verdetti del campo, ai valori tecnici e umani più che ai bilanci e al marketing. Cambiare si può, il Carpi ne è una dimostrazione tangibile. Lotito provi a farsene una ragione.