Ci sono alcune certezze che non rendono meno doloroso e misterioso l’ennesimo morto italiano in guerra. L’uccisione di Giovanni “Giancarlo” Lo Porto, cooperante palermitano, comunicata soltanto giovedì pomeriggio ma avvenuta in Pakistan tre mesi fa per opera di un drone americano lascia inquieti.
È stato un errore, e su questo non c’è dubbio. Un drammatico errore, come ha confermato in mondovisione il presidente Usa Barack Obama con il volto visibilmente turbato. Le scuse, l’ammissione piena di responsabilità e la promessa di un “risarcimento” alla famiglia – espresse con chiarezza da Obama – hanno subito depotenziato le inevitabili polemiche che seguono sempre di fronte ad avvenimenti del genere. Renzi ha apprezzato “la trasparenza” e soprattutto ha smentito di essere stato informato già la scorsa settimana – durante il suo incontro ufficiale con Obama – della morte di Lo Porto. Anche se lo ha fatto in modo meno… trasparente, limitandosi a dire che “ufficialmente l’Italia è stata informata soltanto ieri” e lasciando dunque involontariamente intendere che qualcosa potesse già essere stato annunciato.
È chiaro che la vicenda non si chiude qui. Ci sono ancora tante risposte da dare e perché ciò avvenga si renderanno necessarie alcune inchieste sulle quali sapremo poco o nulla per capire se sono stati rispettati tutti i protocolli previsti in situazioni analoghe. Il presidente del Copasir Stucchi ha detto ad Affaritaliani che al di là delle scuse “ci devono spiegare e giustificare quanto avvenuto in quella operazione”. Immaginiamo che ci sarà spazio anche per le polemiche politiche relative al ruolo che il premier ha avuto o avrebbe dovuto avere in questa vicenda. Ma oggi queste “beghe quotidiane” ci interessano poco.
Sarebbe più interessante e giusto sapere quello che ancora non ci hanno detto (e forse non ci diranno mai): perché una povera madre, consumata dal dolore, viene lasciata per oltre tre mesi all’oscuro della notizia più tragica che una madre possa mai ricevere, la morte di un figlio che non vedeva da tre anni, cioè dal momento del sequestro. Capiamo bene che prima di ammettere un simile errore ci vogliono i dovuti riscontri ma tre mesi sono francamente troppi. La guerra è guerra, si sa: ma la mamma di “Giancarlo” Lo Porto (e ovviamente i familiari più prossimi) non meritavano questa “tortura”.