Arrestato in Svizzera, a Lugano, l’imprenditore astigiano Marco Marenco, 59 anni, al centro del crac Borsalino, storica azienda di cappelli. Il fallimento sarebbe uno dei più grandi della storia italiana dopo quello di Parmalat. Si parla infatti di circa 3,5 miliardi di euro.
L’uomo d’affari, accusato in Italia di bancarotta, truffa e d evasione fiscale, era latitante. Nei suoi confronti sarebbe stata aperta la procedura d’estradizione, come si legge in una nota emanata dalla Polizia cantonale. L’imprenditore, nel giro di pochi anni, finanziandosi con i prestiti delle banche, era entrato nel mercato energetico italiano, nella produzione di elettricità e nel trading di gas con società attive anche nelle dighe alpine e nei giacimenti di idrocarburi in Asia.
Secondo gli inquirenti, negli ultimi anni avrebbe girato ingenti quantità di denaro delle sue aziende (circa un’ottantina) su conti offshore nei paradisi fiscali. Dopo la firma del decreto d’accusa da parte del pm di Asti sei mesi fa, Marenco era scappato. Nella relazione alla Procura, i commissari fallimentari hanno denunciato l’esistenza di un giro vorticoso di partite di denaro tra le varie società tale da rendere quasi impossibile la ricostruzione dell’effettiva consistenza del giro d’affari e dei conti. I principali creditori, per ora, sembrano essere Unicredit e Snam Rete Gas, che cedeva materia prima ad aziende del gruppo Marenco.
Borsalino, un marchio storico del made in Italy, era finito nel gruppo Marenco anche se non ha nulla a che fare con il suo core business. La mitica azienda dei cappelli usati da gangster e dandy perde appena 1 milione di euro rispetto a 15 di ricavi, anche se il vizietto dei debiti (ben 21 milioni di euro, che non sono pochi in relazione al fatturato) aveva contagiato anche questa parte relativamente sana dell’impero astigiano. Borsalino è un marchio talmente importante che potrebbe far gola alle grandi conglomerate internazionali della moda.