Gli armeni lo chiamano “Medz yeghern”, cioè “il grande crimine”: secondo Raphael Lemkin, lo storico che ha coniato il termine genocidio, si è trattato del primo episodio in cui uno stato ha metodicamente eseguito lo sterminio di un intero popolo.
Era la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 quando si diede inizio al genocidio armeno con l’arresto dei primi membri della comunità armena di Costantinopoli: nell’arco di un mese, più di mille intellettuali armeni furono deportati verso l’interno dell’Anatolia. Era stato l’impero Ottomano a decidere lo sterminio e la deportazione di mazza della popolazione cristiana dell’Armenia occidentale in seguito alle sconfitte subite all’inizio della prima guerra mondiale per opera dell’esercito russo, in cui vi erano anche battaglioni di volontari armeni.
Gli armeni maschi in età da servizio militare furono concentrati nei battaglioni di lavoro dell’esercito turco, per poi essere uccisi. Il resto della popolazione era stato deportato verso la regione di Deir ez Zor, in Siria: durante le marce, che coinvolsero oltre un milione di persone, furono migliaia quelli che morirono per sfinimento, malattia, fame o a causa delle percosse subite lungo la strada.
Non è tutt’oggi chiaro il numero degli armeni morti nel corso del genocidio: secondo fonti turche, il bilancio sarebbe di 200 mila vittime, mentre per quelle armene sarebbero 2,5 milioni. Gli storici concordano che la cifra più attendibile e quella di 1,2-1,5 milioni di vittime.
La Turchia, però, non ha mai accettato la definizione di genocidio, affermando che le uccisioni compiute dall’impero Ottomano fossero state eseguite in risposta all’insurrezione degli armeni, aggiungendo che anche migliaia di turchi erano morti nel conflitto. Sono 22 i paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno, mentre molti altri, tra cui gli Stati Uniti e Israele, appoggiano la Turchia continuando a non usare il termine genocidio, decisione alla base del quale vi è il timore di una crisi dei rapporti con la Turchia.