C’è persino chi ne ha una paura tremenda, tanto da esistere una patologia chiamata eptacaidecafobia: il venerdì 17 è da sempre associato alla sfortuna, seppur quasi solo in Italia.
Perché? Non è chiara l’origine di questa superstizione: ha legami con il cristianesimo, in quanto nella Bibbia viene affermato che Gesù morì di venerdì e nell’Antico Testamento (Genesi, 7-11) è scritto che il diluvio universale iniziò proprio il 17 del secondo mese.
Non solo, il numero 17 era odiato già nell’antica Grecia dai seguaci di Pitagora in quanto era tra il 16 e il 18, considerati perfetti nella loro rappresentazione di quadrilateri 4×4 e 3×6.
Ci sono possibili origini anche nell’antica Roma: nel 9 dopo cristo infatti, la diciassettesima legione, insieme alla diciottesima e alla diciannovesima, fu sterminata a Tetoburgo dai Germani. Dopo quell’episodio questi numeri, ritenuti infausti, non furono più attribuiti a nessuna legione.
Sempre nel periodo degli antichi Romani, in numerose tombe dei defunti campeggiava la scritta VIXI, “ho vissuto”, e dunque morto: anagrammandolo esce fuori XVII, cioè proprio il 17 nel sistema di numerazione romano.
Cristoforo Colombo era contrario a questa superstizione, tanto da partire da Porto Palos di venerdì, mettere piede sulla nuova terra di venerdì e rientrare a Porto Palos sempre di venerdì.
Nelle altre culture, il numero che porterebbe sfortuna è il 13, in quanto il 13esimo all’Ultima cena è il traditore Giuda. Anche nella mitologia scandinava il 13esimo semidio è il cattivo Loki, il fratellastro di Thor, che arriva non invitato al convivio degli dei. Ed era anche un venerdì 13 quello in cui Filippo il Bello, re di Francia, ordinò l’arresto dei Cavalieri Templari.