“Per contrastare il terrorismo è inevitabile il risvolto militare”. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, non esclude l’opzione militare, contro la crescente minaccia degli estremisti islamici e i sanguinosi attacchi delle scorse settimane. “Qualcuno potrà scandalizzarsi, ma – ha aggiunto il ministro – questi gruppi vanno affrontati anche sul piano militare. Non userò la parola combattere, altrimenti mi ritrovo nei panni del crociato…”.
Nelle omelie pasquali, anche Papa Francesco ha condannato il ‘silenzio complice’ che circonda il massacro di tanti cristiani nel mondo e ha chiesto che il mondo non assista inerte. “Bisogna fare di più”, ammette Gentiloni. Ma da anni c’è un male europeo, quella miscela tra egoismo e ignavia che spinge a voltare lo sguardo dall’altra parte rispetto a ciò che accade oltre il nostro piccolo mondo antico. Sul nostro territorio, fare di più significa proteggere i simboli e i luoghi della cristianità e tutelare le minoranze religiose, penso agli ebrei italiani, alle loro comunità, che potrebbero essere visti come bersagli”.
“In futuro – continua il titolare della Farnesina – si potrebbe valutare l’opportunità di contribuire al contrasto del terrorismo in Libia o di fenomeni come Boko Haram in Nigeria, per esempio. I carabinieri italiani sono impegnati in Somalia per contribuire alla formazione e all’addestramento delle forze armate locali che devono combattere proprio contro i responsabili della strage di Garissa. Insomma, c’è una dimensione militare”.