Quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura”. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia non solo per quanto fatto ad uno dei manifestanti, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura.
Il caso riguarda gli eventi nella notte tra il 21 e 22 luglio del 2001, al termine del vertice del G8 di Genova, quando le forze dell’ordine fecero irruzione nella scuola Diaz-Pertini, che il comune aveva messo a disposizione dei militanti delle organizzazioni non governative riunite nel “Genoa Social Forum”.
Nei due giorni del G8, Genova fu al centro di gravi disordini, saccheggi, violenze da parte degli antagonisti e di scontri con le forze dell’ordine schierate per impedire l’accesso dei facinorosi nell’area dove si svolgeva il vertice tra i grandi del mondo.
Dopo una segnalazione sull’entrata di giovani vestiti di nero all’interno della scuola, la polizia fece irruzione
A fare ricorso alla Corte era stato il pensionato Arnaldo Cestaro, 62 anni. Era a scuola al momento dell’irruzione della polizia. All’arrivo degli agenti, si era seduto contro un muro e aveva sollevato le braccia in aria. Fu colpito più volte e subì fratture multiple, con lesioni permanenti a braccia e gamba destri. La Corte ha inoltre rilevato l’assenza di un nesso di causalità tra la condotta di Cestaro e ‘uso della forza da polizia al momento dell’intervento e ha dichiarato che l’Italia dovrà pagare al ricorrente 45.000 euro per danno morale. Quanto allo Stato italiano, la Corte ha evidenziato il dovere di mettere in atto un quadro giuridico appropriato, anche attraverso disposizioni penali efficaci.
“Si ritiene necessario che l’ordinamento giuridico italiano si fornisca degli strumenti giuridici in grado di punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o altri maltrattamenti trattamento ai sensi dell’articolo 3 e impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte”, si legge nella sentenza.
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La sentenza della Corte non è definitiva. Nel giro di tre mesi dalla data della sua consegna, ciascuna parte può chiedere il rinvio del caso alla Grande Camera della Corte. In tali casi, un collegio di cinque giudici valuta se il caso merita un ulteriore esame. La Grande Camera emette una sentenza definitiva. Se la richiesta di rinvio viene respinta, la sentenza della Camera diventerà definitiva.
Una volta che una sentenza diviene definitiva, è trasmessa al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per la supervisione della sua esecuzione.
Dopo tre anni di indagini condotte dalla Procura di Genova, ventotto persone tra funzionari, ufficiali e agenti delle forze di sicurezza, sono stati sottoposti a giudizio. Il 13 novembre 2008, il Tribunale ha condannato dodici degli imputati a pene detentive che vanno dai due a quattro anni di carcere, nonché al risarcimento delle parti civili.