L’acqua sarà sempre di più scarsa e sempre più centrale per lo sviluppo dei paesi poveri. L’allarme arriva dal rapporto 2015 ‘World Water Development’ dell’Onu. Tra 15 anni la Terra dovrà affrontare un calo del 40% della disponibilità d’acqua, a meno che non venga migliorata in modo significativo la gestione. L’acqua è al centro dello sviluppo sostenibile, si legge nel report presentato stamani a Nuova Delhi, in India. Le risorse idriche e i servizi che forniscono sono alla base della crescita economica, della riduzione della povertà e della sostenibilità ambientale.
Il consumo di acqua è previsto in aumento per via della crescita della popolazione mondiale e della domanda di beni e servizi. L’agricoltura usa già il 70% dell’acqua dolce disponibile, una cifra che sale al 90% nei Paesi meno sviluppati, ed entro il 2050 dovrà produrre il 60% di cibo in più livello globale, il 100% in più nei Paesi in via di sviluppo, si legge nel rapporto Onu. Ecco perché “il settore dovrà incrementare l’efficienza riducendo lo spreco d’acqua e aumentando la produttività delle colture”.
I prelievi di acqua dolce per la produzione energetica rappresentano ora il 15% del totale e potrebbero salire al 20% entro il 2035. Per questo serviranno sistemi più efficienti di raffreddamento degli impianti e una crescita delle fonti rinnovabili come eolico, solare e geotermico, prosegue l’Onu, secondo cui la domanda di acqua da parte dell’industria manifatturiera globale aumenterà del 400% tra il 2000 e il 2050.
“C’è già un consenso a livello internazionale sul fatto che l’acqua e i servizi igienico-sanitari siano essenziali al raggiungimento di molti obiettivi di sviluppo sostenibile”, scrive Michel Jarraud, a capo di Onu-Acqua e segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale. “L’acqua è legata in modo indissolubile a cambiamento climatico, agricoltura, sicurezza alimentare, salute, uguaglianza, parità di genere ed educazione. Questo report – sottolinea Jarraud – è fondamentale per capire il ruolo dell’acqua nell’Agenda post.2015 per lo sviluppo”.
Secondo l’Istat, in Italia, il prelievo nazionale di acqua a uso potabile ammonta a 9,5 miliardi di metri cubi, di cui l’84,8% proviene da acque sotterranee, il 15,1% da acque superficiali e il restante 0,1% da acque marine o salmastre. Nel nostro Paese, le precipitazioni medie, con un volume di acqua di 245.457 milioni di metri cubi, nel decennio 2001-2010 sono aumentate dell’1,8%, rispetto alla media del periodo 1971-2000, che corrisponde.
Migliora il giudizio delle famiglie sull’erogazione d’acqua nelle loro case: soltanto 8,6 famiglie su 100 lamentano irregolarità nel servizio, rispetto al 14,7% nel 2002. A non fidarsi dell’acqua di rubinetto è ancora una percentuale rilevante di famiglie ma in deciso calo: dal 40,1% del 2002 si è passati al 28% nel 2014. La sfiducia è molto elevata in Sardegna (53,4%), Calabria (48,5%), Sicilia (46,2%) e Toscana (38,3%).
La spesa media mensile delle famiglie per l’acquisto di acqua minerale si attesta nel 2013 a 11,42 euro, il 4,5% in meno del 2012. Si tratta di quasi la metà di quella sostenuta per il servizio di acqua per l’abitazione.
Aumenta fino al 57,6% la quota di acque reflue trattate dai depuratori, con la Sicilia che è la regione col maggior numero di centri, 175, sotto procedura di infrazione della normativa in materia di trattamento dei reflui; segue la Calabria con 130.