Diffamazione, condannato attivista Lgbt palermitano | Arcigay: “Minacciata la nostra libertà di parole”

di Redazione

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Diffamazione, condannato attivista Lgbt palermitano | Arcigay: “Minacciata la nostra libertà di parole”

| giovedì 19 Marzo 2015 - 17:11

È stato condannato in appello per diffamazione l’attivista del movimento Lgbt palermitano, Vincenzo Rao, dopo la querela del pm Ambrogio Cartosio.

Il magistrato aveva querelato Rao dopo un comunicato stampa dell’associazione omosessuale palermitana “Articolo 3”, nel luglio 2007, in cui si commentava la decisione di Cartosio di impugnare la sentenza d’assoluzione in primo grado dell’insegnante palermitana che aveva “punito” un suo alunno, protagonista di atti di bullismo omofobico nei confronti di un suo compagno, facendogli scrivere per cento volte “sono un deficiente”. Vincenzo Rao in primo grado è stato condannato a quattro mesi di carcere in appello a circa mille euro, più spese legali e risarcimento danni.

”A prescindere dalla sanzione inflitta nei due gradi di giudizio – dice Arcigay, che ha manifestato la propria solidarietà – emergerebbe un dato preoccupante dalla conferma della sentenza di primo grado: cioè che un atto giudiziario non potrà essere commentato e criticato, anche con toni sferzanti e pungenti. Come associazione non possiamo che difendere con forza la libertà di parola, di opinione e il diritto di critica. Come d’altronde si leggeva nello stesso comunicato, non si contestava affatto il diritto di Appello alla sentenza di assoluzione di primo grado dell’insegnante palermitana, ma esclusivamente i toni utilizzati e certe considerazioni come quella secondo la quale dare del ‘frocio’ ad un compagno di scuola o definirne la madre con termini assimilabili alla prostituzione non sarebbero da ritenersi atteggiamenti di bullismo, ma al più non ‘commendevoli’ espressioni confidenziali in voga tra compagni di scuola”.

”Restiamo in attesa di leggere le motivazioni della sentenza di appello – conclude Arcigay – Chiediamo inoltre alla comunità LGBTI cittadina di impegnarsi al fianco di Vincenzo e di sostenere le iniziative che organizzeremo per la promozione e la difesa della libertà di opinione e per il sostegno per le spese legali. Ciò che è successo a Vincenzo potrebbe succedere – è già successo – a ciascuno di noi”.

”Ho rinunciato alla prescrizione del reato perché è importante capire quali limiti oggi ci vengono imposti dal nostro ordinamento sulla libertà di critica e di opinione”, dice Vincenzo Rao. ”Se un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni – prosegue – può definire una insegnante ed i suoi metodi educativi da rivoluzione culturale cinese del 1966 e può ritenere certi insulti tollerabili, soprattutto nei confronti di adolescenti ancora fragili, non si comprende perché una associazione omosessuale che porta avanti battaglie di civiltà, di rispetto e di non discriminazione, anche sul piano del linguaggio e delle parole, debba essere condannata per diffamazione solo perché ha mosso una critica pungente a delle parole e a dei contenuti di un atto giudiziario”.

”È grave – conclude – se dovesse passare la tesi sostenuta dalla sentenza di condanna in primo grado, che un cittadino non può criticare i contenuti di un atto giudiziario. È grave se venisse confermato il principio espresso nella sentenza di condanna in primo grado che occorre punire un simile comportamento a scopo deterrente. Questo processo non riguarda una singola persona e una singola associazione Lgbt, ma riguarda tutti i cittadini, tutte le associazioni che si battono per un Paese più libero, giusto e democratico. Se si condanna la libertà di critica nei confronti di un magistrato o di un politico, si condanna la natura stessa della nostra democrazia e dei suoi principi costituzionali”.

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