Legge 40 sulla procreazione assistita (pma) di nuovo a giudizio: il Tribunale di Milano ha rinviato nuovamente la legge alla Consulta accogliendo il ricorso presentato da una coppia fertile ma portatrice di malattia genetica trasmissibile grave.
Con una sentenza che i legali definiscono “particolarmente significativa”, il Tribunale di Milano ha dunque inflitto un altro duro colpo alla legge 40/04 rinviandola nuovamente alla Corte Costituzionale. Il Tribunale ha infatti accolto il ricorso di una coppia di persone fertili ma portatrici di una patologia genetica trasmissibile grave e invalidante, quale è l’esostosi, che secondo quanto previsto dalla stessa legge 40 non può ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita né alla diagnosi genetica preimpianto dell’embrione.
Dopo le censure della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 2012 – che ha condannato l’Italia per l’incoerenza di ammettere l’aborto ma di non consentire la diagnosi genetica di preimpianto sull’embrione, nonché di escludere dal ricorso alla pma chi presenti un grave rischio di trasmettere patologie genetiche gravi alla prole – anche il Tribunale di Milano, dopo quello di Roma, rimette dunque gli atti alla Consulta affinchè valuti la legittimità costituzionale della norma.
“Ancora una volta la Legge 40 viene messa in discussione, e si tratta di uno degli aspetti più pericolosi e discriminatori della disciplina”. Lo afferma l’avvocato Gianni Baldini esprimendo “vivo apprezzamento”, in qualità di legale della coppia che ha presentato ricorso chiedendo di accedere alla diagnosi preimpianto dell’embrione, per la decisione del Tribunale di Milano di rinviare la legge 40 alla Consulta.
Il divieto di accesso alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili ma portatrici di patologia genetica trasmissibile rappresenta un aspetto “pericoloso – spiega Baldini all’Ansa – perché alimenta una contraddizione nel sistema tra legge 40 e legge 194 sull’aborto in relazione a diritti della donna e dell’embrione”. Si tratta inoltre anche di aspetti della legge 40 “discriminatori”, sottolinea il legale, “perché non consentono alle coppie già provate dalla malattia di poter mettere al mondo figli che di quella malattia non siano affetti, di fatto offrendo alla donna l’unica alternativa dell’aborto”.