Ha fatto il nome di un’altra persona, che avrebbe materialmente ucciso il commerciante di pesce Pietro Sarchiè con diversi colpi di pistola, il principale indiziato del delitto, Giuseppe Farina, 41 anni, catanese, in carcere con il figlio 20enne Salvatore per l’omicidio.
La nuova versione l’ha fornita ai pm di Macerata Rastrelli e Ciccioli dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip. “Il nostro assistito – hanno riferito i suoi legali, gli avvocati Mauro Riccioni e Marco Massei in una conferenza stampa – ha detto: ‘voglio dire la verità, voglio collaborare’. La sua è stata una scelta che ha spiazzato anche noi”. Farina conferma la ricostruzione fatta dagli inquirenti ma in questa nuova versione esclude il figlio dalla scena del delitto (il giovane, invece, secondo la Procura, avrebbe bloccato con la sua auto il furgone del pescivendolo lungo la strada per Sefro, perché il padre potesse sparargli) e vi colloca invece altre due persone: il vero killer e una terza persona, che sarebbe rimasta in auto e che Farina dice di non conoscere.
L’indagato sostiene che l’intenzione era quella di far prendere un bello spavento al commerciante, verso il quale sia lui che il presunto esecutore materiale avevano motivi di rancore. Sarchiè è stato dunque bloccato mentre viaggiava verso Sefro, dove aveva delle consegne di pesce da fare; è sceso dal furgone ed è stato affrontato da Farina e dal killer. C’è stata una discussione, il commerciante è risalito sul mezzo, ha minacciato di accendere l’altoparlante e si è chinato come per prendere il cellulare. E’ a quel punto, sempre secondo la ricostruzione di Farina, che il ‘killer’ ha tirato fuori la pistola e ha sparato contro Sarchiè, colpendolo di striscio.
Subito dopo, Farina si è messo alla guida del furgone mentre l’uomo che aveva sparato si è nascosto con il pescivendolo, ferito ma ancora vivo, nella cella frigo del furgone. Farina ha condotto il mezzo fino alla Valle dei grilli, dove, vistosi ormai perso, il ‘killer’ avrebbe sparato alla vittima uccidendola. L’automezzo di Sarchiè è stato trasferito in un capannone industriale di proprietà di Santo Seminara, accusato con Domenico Torrisi di averne smontato i pezzi per far sparire ogni traccia. Fin qui la verità dell’uomo, che ha indicato chiaramente il nome del presunto assassino. Saranno ora i magistrati a verificare questa nuova ricostruzione, aprendo probabilmente un nuovo fascicolo.