Il governo Crocetta, con una serie impressionante di scelte confusionarie ed approssimative, inerzie, assenza di riforme, attento solo alla legalità di facciata, sta portando la Sicilia alla bancarotta. Ma alla bancarotta preferenziale, nel senso che favorisce lo Stato in danno dei siciliani. Questo processo è guidato, adesso, dall’assessore Baccei – emissario del Governo nazionale – e grazie alla accondiscendenza di un governo regionale in perenne paralisi e crisi di legittimazione, divenuto un cavallo di Troia.
Si ricorre pure a circa tre miliardi di nuovo indebitamento, che vincola il bilancio regionale per decenni, e non per investimenti ma per garantire la spesa corrente e ad entrate surrettizie (in “pre-contenzioso”), inserite nella legge regionale di autorizzazione all’esercizio provvisorio, che avrebbero dovuto essere negoziate con lo Stato. E questo mentre si eludono le norme sugli equilibri di bilancio.
Il negoziato sul federalismo fiscale, quasi definito già due anni e mezzo fa e già chiuso dalle altre regioni speciali, langue per inerzia della Regione. Non risulta nessun passo avanti, come auspicato dalla Corte costituzionale, con gravissimo pregiudizio per le finanze regionali. E’ mancata l’azione di riforme strutturali e deciso risanamento che avrebbe evitato il disastro finanziario già ampiamente previsto due anni fa.
4 miliardi di potenziali entrate derivanti da contenziosi costituzionali alle quali Crocetta ha irragionevolmente rinunciato, e senza l’assenso dell’Ars, per soli 500 milioni di spazi finanziari. Un Dpef presentato fuori tempo massimo (come lo schema di bilancio 2015) addirittura critica la scelta, come se fosse stato scritto da altri.
La Sicilia da anni è in difficoltà finanziarie. Queste difficoltà hanno determinato l’adozione di misure di contenimento della spesa già dal 2010. Misure che dal 2013 avrebbero imposto – anche a causa dei gravi tagli progressivamente determinati dallo Stato con i vincoli di finanza pubblica – l’adozione di una seria politica di riforme strutturali e revisione della spesa, ma nel contempo di definire il negoziato sul federalismo fiscale.
Alla Sicilia sono stati così sottratti circa 9 miliardi tra risorse del Piano di azione e coesione (PAC riprogrammate nel 2012) e Fondo di sviluppo e coesione (FSC). Ridotte dallo Stato (da ultimo con la legge di stabilità 2015) o restituite dalla Regione senza colpo ferire (vedi l’ultimo esercizio provvisorio) o di quelle destinate al cofinanziamento dei fondi della programmazione UE si tratta di fonti finanziarie sottratte agli investimenti per il territorio. E per questo abbiamo proposto due esposti all’Unione europea contro l’Italia e la Sicilia per violazione dei principi sulla portata addizionale e non sostitutiva dei fondi europei per la coesione.
Il c.d. decreto-irpef del 2014 assesta un colpo ferale alle finanze siciliane, considerando pagate in Italia (e quindi sottraendole al bilancio regionale) le imposte pagate dai siciliani mediante versamenti telematici. Un altro esempio di annichilamento dell’autonomia finanziaria della Sicilia, ormai ridotta ad un feticcio e che Crocetta si è guardato bene dal contestare.
A questo si aggiunge la questione delle anticipazioni sui Fas e cofinanziamento di fondi UE di cui si è fatta carico la Regione. Ebbene lo Stato, non restituendo il dovuto, ci impone nuovo indebitamento per tirare avanti.
Costringerci adesso a piazzare sui mercati nuovo debito (è improbabile che lo sottoscriva la Cassa Depositi e prestiti già sovraesposta con la Sicilia) a tassi esosi o con aste deserte, anche per i ratings bassi (Ba1 Moody’s, BBB- S&P, BBB Fitch), espone altresì al gravissimo rischio di deterioramento del debito già esistente con la prospettiva, doppiamente grave, di ritrovarsi le casse vuote ed oneri finanziari crescenti sul bilancio.
Così il default non lo dichiarerà il commissario dello Stato dimezzato, ma lo faranno i mercati e si potrà commissariare la Regione.
Si prefigura uno scenario drammatico per la Sicilia e le sue Istituzioni, a cominciare da comuni e disastro Province, mentre il governo si trastulla tra esigenze estetiche ed imbarazzi per scelte in contrasto con la legalità declamata.
La Commissione paritetica è ferma da più di due anni. E così la Sicilia attende ancora l’emanazione delle norme di attuazione che consentano di applicare previsioni statutarie come quelle in materia finanziaria o sul trasferimento dei beni. Mentre deve registrarsi mancato rispetto della disciplina sulla trasparenza totale (d.lgs. n. 33 del 2013), anche di matrice regionale (art. 68 della l.r. 21 del 2014), e sull’anti corruzione. Per non dire del continuo ricorso a commissariamenti ed alla moltiplicazione si incarichi a soggetti del ‘cerchietto tragico’ poi sanzionati dalla stessa ANAC, in alcuni casi garantendo remunerazioni in incremento rispetto a quelle prima vigenti (Sicilia&servizi e Riscossione Sicilia).
La bancarotta della Sicilia non solo porta soldi allo Stato, ma è funzionale al disegno accentratore del Governo nazionale, che già si legge a chiare lettere nella ‘contro-riforma costituzionale’ all’esame delle Camere e che si concreterà nell’azzeramento delle autonomia speciali in contrasto non solo con i principi costituzionali, ma anche con quelli europei della coesione economico-sociale e territoriale (insularità).
Sicilia Nazione rivolge un appello al Presidente della Repubblica, che nel Suo insediamento ha richiamato il valore della coesione e, dopo mesi di silenzio della politica nazionale, riaperto la prospettiva verso il Mezzogiorno affinché si faccia garante del rilancio del patto costituzionale che lega la Sicilia all’Italia.