Ci vorrà tempo per far sì che i nuovi nati con la fecondazione eterologa in Italia, siano completamente “italiani”.
Le donne italiane non donano ovociti e le Asl si devono adattare. I figli dell’eterologa, in Italia, sono quindi per ora per metà “stranieri”. Almeno quelli concepiti nei centri pubblici.
Un documento messo a punto dal tavolo tecnico delle Regioni sulla procreazione medicalmente assistita (pma) che sarà inviato agli assessori regionali, propone delle soluzioni per far fronte al problema della carenza di gameti per la fecondazione eterologa, soprattutto di ovociti femminili. Fino ad ora i vari Centri per la pma hanno deciso di rivolgersi a banche di gameti estere per ovviare a questo problema.
Un pacchetto di ovociti importati, inclusi il trasporto, costa da 2.800 e 3.500 euro, a carico della coppia committente che deve inoltre pagare il ticket per l’eterologa (circa 200 euro). A conti fatti, in questi casi, sembrerebbe quindi più conveniente rivolgersi a cliniche estere. Questi viaggi invece, facendo tornare l’eterologa legale in Italia, sarebbero dovuti cessare.
Per incentivare alla donazione in Italia, si potrebbe prevedere un “premio di solidarietà” per coloro che decidono di donare e stabilire delle facilitazioni per le pazienti che, sottoponendosi a fecondazione omologa, volessero donare parte degli ovociti, come per esempio l’eliminazione del pagamento del ticket previsto e un percorso di priorità in lista d’attesa.
Il tavolo tecnico delle Regioni sulla procreazione medicalmente assistita (pma) nell’ultima riunione ha preso atto delle difficoltà: «Non possiamo fingere – dice il coordinatore, l’andrologo veneto Carlo Foresta-. Il nodo va districato. Come? Magari con la creazione di banche in Italia sul modello di quelle europee. Bisogna uniformare i criteri di donazione, ad esempio la raccolta e la ricompensa alle volontarie». In vari Paesi Ue è previsto per le donne donatrici volontarie un rimborso per le giornate lavorative perse (dagli 850 euro in Spagna ai circa 1000 euro in Grecia). In altri paesi, poi, le banche di gameti offrono anche la possibilità di preservare i propri gameti gratuitamente, in vista di gravidanze future, a fronte della donazione di alcuni ovociti per l’eterologa.
La Toscana è stata intraprendente con la delibera del Careggi che ha stabilito una sorta di convenzione per l’importazione da quattro bio-banche. Altre Regioni stanno valutando l’ipotesi di battere la stessa pista per rifornirsi, acquistandoli, di gameti femminili ceduti da donne spagnole, svedesi o di altra nazionalità. Non sarebbe una sorpresa se l’ufficio legale del ministero della Salute andasse a verificare la compatibilità della delibera del Careggi con la normativa italiana specie per quanto concerne l’aspetto economico.
L’Emilia-Romagna è orientata a seguire la Toscana. Giovanni La Sala, direttore del centro di Reggio Emilia: “A livello personale sono contrario alle bio-banche estere. Formalmente risultano a posto con la legge comunitaria che vieta di remunerare le donatrici, nella pratica la ricompensa c’è. Si chiama in altro modo, ad esempio indennità”. Inoltre l’eterologa made in Italy contiene una contraddizione, rileva La Sala: “Le pazienti secondo le raccomandazioni delle Regioni possono farla gratuitamente sotto i 43 anni e con un numero massimo di tre cicli. L’età di chi richiede la donazione è più alta e tre tentativi non bastano”.
In Puglia, stessa situazione di stallo. Nel maggior centro pubblico (ospedale Iaia di Conversano), come a Bari e Nardò, l’eterologa è un miraggio: “Anche qui ci vorrebbe un bando per le bio-banche estere -commenta Giuseppe D’Amato, direttore a Conversano-. Un fatto è certo. Un’indagine interna fra le nostre pazienti in cura per la fecondazione omologa (ambedue i gameti della coppia), si è conclusa amaramente. Nessuna è disposta a regalare parte degli ovociti in sovrannumero, il cosiddetto egg sharing. C’è una barriera culturale. Chissà che con una campagna di informazione…”.
Il servizio di fecondazione artificiale all’Evangelico di Genova è diretto da Mauro Costa: “Noi speravamo nell’altruismo delle nostre pazienti in trattamento per l’omologa. Su 150 solo una ha sottoscritto l’egg sharing. Una delusione. Bisogna arrangiarsi”.