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#ProntoSoccorsoKo, flash mob della Cgil | Medici, infermieri e operatori sanitari in piazza

Personale sanitario “in barella” e con tanto di maschera per l’ossigeno, per via dell’estremo sovraffollamento dei Pronto Soccorso. Dal Cardarelli di Napoli al Careggi di Firenze, dal San Carlo di Milano al Policlinico di Bari, gli ospedali principali di molte città italiane sono diventati oggi teatri di veri e propri flash mob, all’insegna dello slogan #ProntoSoccorsoKo.

Protagonisti dell’iniziativa organizzata dalla Fp Cgil, sono medici, infermieri e operatori sanitari che chiedono di “soccorrere” i reparti di Emergenza-Urgenza d’Italia, oberati da 65.000 accessi giornalieri un terzo dei quali impropri, magari effettuati anche solo per spendere meno in esami diagnostici e analisi.

“I cittadini sono costretti a recarsi al Pronto Soccorso perché mancano altre risposte vere sul territorio. Le Case della Salute ancora non sono diventate una vera alternativa in questo senso”, spiega Massimo Cozza, segretario Fp Cgil Medici, intervenuto al presidio presso l’Ospedale San Camillo di Roma. Ma ci si va anche per risparmiare.

Il peso del ticket – aggiunge – è diventato insostenibile per larghe fasce della popolazione e il Pronto Soccorso è visto come un posto dove fare diversi esami tutti insieme, magari senza spendere nulla. Questo crea affollamento per chi ne ha realmente bisogno”. Ormai diventato un problema strutturale nella maggior parte delle regioni italiane, l’allarme nei Pronto Soccorso diventa un vero e proprio ‘codice rosso’ soprattutto nei periodi di picchi influenzali.

“È un problema in primis di tagli alle risorse pesantissimi – prosegue Cozza – pari 31 miliardi di euro tra il 2011 e il 2015. E poi a una riduzione di personale di 23.500 operatori negli ultimi anni, questo significa un aggravio di lavoro, per di più a carico di persone che, a causa del blocco del turn over, hanno un’età media sempre più alta”.

Fino a 17 ore di lavoro consecutive, anche notturne, alle prese con pazienti esasperati da ore di fila o in attesa per giorni su una barella prima di esser ricoverati. Da Nord a Sud Italia i problemi dei Pronto Soccorso sono gli stessi e non accennano a diminuire. Lo denuncia il personale sanitario, che oggi ha organizzato flash mob di protesta in vari Pronto soccorso italiani. “Abbiamo turni spesso raddoppiati da 7 a 14 ore o, se notturni, anche fino a 17 ore, perché quando ci sono periodi di sovraffollamento, alla necessità di più personale si supplisce solo con straordinari”, racconta Domenico Papalia infermiere del Pronto Soccorso del San Camillo, tra i partecipanti del flash mob organizzato oggi dalla Fp-Cgil nell’ambito dell’iniziativa #ProntoSoccorsoKo. “Possono arrivare codici rossi anche dopo 15 ore di lavoro e, in quel caso, non è detto che si riesca ad assistere il paziente nel migliore dei modi”. Il risultato è una situazione di stress che arriva fino all’aggressione fisica. “Pochi giorni fa, mentre una collega stava dando informazioni, la porta del box si è aperta e una paziente esasperata dalla lunga attesa, l’ha aggredita con un pugno sul sopracciglio”, ricorda Cristian Vender, infermiere.

Stress che non risparmia autisti e barellieri delle ambulanze, che si trovano “a fare doppi turni con tutte le difficoltà che richiede mantenere un’attenta concentrazione per riuscire a guidare e assistere pazienti in pericolo di vita”, racconta Sergio Bussone dipendente Ares 118. Uno dei problemi più annosi dell’area del trasporto di emergenza però è il blocco delle ambulanze, che nel Lazio, aggiunge, “ha accumulato nel 2014 ben 130.000 ore di fermo mezzi, in pratica un’ambulanza ferma per 20 anni consecutivi con personale pagato”. Spesso infatti le barelle vengono utilizzate per ‘ricoverare’ i pazienti che non trovano posto in reparto, e il mezzo non può ripartire”. “Servirebbero più posti letto, specie in periodi di picchi influenzali”, commenta Andrea Fidanza, coordinatore Medicina Emergenza-Urgenza del San Camillo. Un problema che non riguarda solo un singolo ospedale, visto che in Italia, ricorda la Fp-Cgil, i posti letto sono passati in 12 anni da 4,7 ogni mille abitanti a 3,4, contro una media Ocse del 4,8.

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