La Torre di Pisa e le spiagge di Rimini; Cosa nostra voleva colpire alcuni tra i luoghi simbolo del paese, quelli che attraggono milioni di turisti ogni anno, per avere “maggior potere di trattativa con lo Stato”. Lo ha rivelato il pentito Giovanni Brusca, che ha deposto in videoconferenza dal carcere, al processo di Milano a carico di Filippo Marcello Tutino, ritenuto il basista della strage di via Palestro del 27 luglio 1993.
Dopo la strage di Capaci la mafia voleva cambiare gli obiettivi da colpire: non più politici, magistrati o poliziotti nel mirino, ma chiese, musei o monumenti. La mafia pensava a un attentato alla torre di Pisa o delle siringhe infettate dall’aids da nascondere nella sabbia delle spiagge riminesi.
A pianificare il cambio di strategia stragista della mafia, dopo l’arresto di Totò Riina nel 1993, fu Leoluca Bagarella. Il cambio di strategia sarebbe stato suggerito ai boss da Paolo Bellini, un ex estremista di Destra che i boss sospettavano facesse parte dei servizi segreti: “abbiamo scoperto che aveva contatti con i carabinieri”, ha detto l’ex boss di San Giuseppe Jato. Anche l’altro collaboratore di giustizia, Gioacchino La Barbera ha raccontato che “Bellini diceva di avere contatti con un generale dei carabinieri che in cambio dell’aiuto per recuperare alcune opere d’arte rubate in Sicilia, avrebbe potuto fare dei favori ai detenuti”.
L’udienza è stata rinviata al prossimo 24 febbraio, quando verranno ascoltati gli ultimi testi, tra cui Paolo Bellini. Il 24 marzo è prevista invece la requisitoria del pm milanese Paolo Storari.
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