Un ovulo umano manipolato ma non fecondato può essere brevettato a fini industriali e commerciali, e ciò sulla base del fatto che non è qualificabile come ‘embrione’. Il principio è stato stabilito dalla Corte di Giustizia Europea, ma la sentenza è stata accolta con valutazioni discordanti da parte dei ricercatori. I giudici europei hanno dunque stabilito che, per essere qualificato come embrione umano, un ovulo umano non fecondato deve necessariamente avere la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano. Quindi, per la Corte, un ovulo attivato per partenogenesi (che consiste nell’attivazione di un ovocita, in assenza di spermatozoi, attraverso un insieme di tecniche di laboratorio), che abbia iniziato un processo di sviluppo, non va considerato come un embrione.
In pratica, ciò significa che se un ovulo non fecondato si sviluppa in laboratorio, può essere utilizzato con scopi commerciali: potrà dunque essere utilizzato al fine di sperimentazioni, per la ricerca, potrà anche essere comprato e venduto, e si potrà richiedere il brevetto per i prodotti di ricerca ottenuti usando tale materiale biologico. Con la sentenza di oggi, la Corte Ue ha in parte ribaltato un suo precedente pronunciamento del 2011: si tratta della sentenza nel caso Brustle, quando i giudici europei avevano stabilito che la nozione di embrione umano ”comprendeva gli ovuli umani non fecondati”. La nuova sentenza parte da un ricorso presentato dalla multinazionale inglese biotech International Stem Cell Corporation, la cui posizione è che gli ovuli usati dall’azienda nei processi biotecnologici non sono in grado di svilupparsi in embrioni. Nella ‘querelle’ è intervenuta l’Alta Corte di giustizia del Regno Unito, che ha chiesto alla Corte Ue di stabilire se tutti gli ovuli siano in grado di evolversi in essere umano.
Con la sentenza di oggi, la Corte ha dunque chiarito che tale evoluzione non è automatica: ”Il solo fatto che un ovulo umano attivato per partenogenesi inizi un processo di sviluppo – affermano i giudici – non è sufficiente per considerarlo un embrione”. Da qui la decisione che ha portato al ‘sì’ alla brevettabilità degli ovuli umani non fecondati. Una sentenza valutata come un ”passo avanti” dal segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca, Filomena Gallo: ”Questa decisione sicuramente favorisce gli investimenti nella ricerca anche se effettuata su parti del corpo umano, come un ovocita, e rende brevettabili gli obiettivi conseguiti in questo campo. Naturalmente – precisa Gallo – saranno però i ricercatori a valutare l’effettivo beneficio per lo spettro di potenzialità connesse, ma la sentenza di fatto mira a chiarire il fine della ricerca”.
Qualche riserva è invece espressa dall’esperto in cellule staminali Giulio Cossu, docente di Medicina rigenerativa all’Università di Manchester: ”A poter essere brevettato – spiega – è un prodotto dell’ingegno, mentre non possono essere brevettate parti del corpo umano. Dunque l’ovulo femminile non può essere brevettato di per sè; la brevettabilità va invece intesa come riferita ai prodotti della ricerca ottenuti utilizzando anche degli ovuli, a patto che non siano fecondati”.
Tuttavia, ”ma è una mia opinione – conclude il ricercatore – non vedo un utilizzo pratico ovvio derivante da questo pronunciamento, e ciò anche considerando il fatto che gli ovuli rappresentano un materiale biologico di non facile reperimento e sul cui uso possono aprirsi problemi di ordine etico”.