Luke Somers, il giornalista americano rapito da al Qaida oltre un anno fa nello Yemen, è stato ucciso nel corso di un raid delle forze americane e yemenite per tentare di liberarlo a poche ore dallo scadere dell’ultimatum lanciato da al Qaida giovedì scorso.
Dopo un rincorrersi di notizie contrastanti con il ministero della difesa yemenita che parlava di ‘liberazione’ mentre la sorella di Somers annunciava la sua morte, la conferma dell’uccisione è arrivata da fonti americane. “La mia vita è in pericolo, aiutatemi”, aveva detto in un drammatico appello il fotoreporter in un video pubblicato giovedì scorso dall’Aqap, il ramo yemenita-saudita di al Qaida. Immagini in cui i suoi sequestratori lanciavano un ultimatum a Barack Obama: il presidente Usa ha “tre giorni” per soddisfare le richieste del gruppo, poi Somers “conoscerà il suo destino inevitabile”.
L’appello di Somers, nato in Gran Bretagna e poi divenuto cittadino Usa, era preceduto dalle dichiarazioni di Nasser bin Ali al-Ansi, un comandante locale dell’Aqap, che attaccava gli Usa per i “crimini contro i musulmani” commessi “con i suoi aerei e i suoi droni” in Somalia, Yemen, Iraq, Siria fino in Sinai e Pakistan.
Ed è stato proprio un raid oggi, in cui sono rimasti rimasti uccisi anche 10 sospetti membri di al Qaida, a mettere fine drammaticamente alla vicenda. Solo ieri il disperato appello della famiglia ai rapitori: “Abbiamo notato che avete avuto buona cura di Luke e lui sembra essere in buona salute. Vi ringraziamo per questo”, diceva la mamma chiedendo di “mostrare pietà: per favore, permetteteci di vederlo ancora. E’ tutto ciò che abbiamo”, le sue accorate parole. Mentre il fratello di Luke spiegava: “E’ solo un fotoreporter, non è responsabile per nessuna delle azioni intraprese dal governo Usa”.
La famiglia assicurava di non sapere dei tentativi per liberarlo. Perché oltre a quello finito tragicamente stanotte – in cui sarebbe morto anche un altro ostaggio straniero, l’insegnante sudafricano Pierre Korkie – ce ne era stato almeno un altro, fallito, il 25 novembre, che aveva fatto infuriare i leader di Aqap.