I finanzieri del Gruppo di Fiumicino hanno arrestato cinque persone appartenenti al clan Mazzarella, storico clan dei quartieri della Maddalena, Mercato, Case Nuove e Soprammuro di Napoli, specializzato in una vasta gamma di reati, dall’usura ai traffici di stupefacenti; dal commercio di armi alla gestione ed al controllo del mercato della contraffazione e della pirateria audiovisiva, e con una elevata disponibilità di armi comuni e da guerra.
Tutte le persone colpite da cattura avevano ruoli e compiti di primissimo piano, e, più volte, avevano preso parte ai vari gruppi di fuoco organizzati per affermare il violento e totale controllo del territorio, in opposizione agli altri clan, con il preciso fine di rimpinguare le “casse criminali” con sempre maggiore liquidità, da reinvestirsi subito nel mantenimento degli affiliati, nei tipici traffici delinquenziali ed in attività economiche apparentemente lecite.
Tra gli arrestati c’è anche Vincenzo Mazzarella, detto “Harry Potter”, 32 anni, figlio del defunto Salvatore Mazzarella detto “o cuntrario”, già a capo, con i fratelli Ciro e Vincenzo, del clan Mazzarella.
Le indagini – partite da episodi di pirateria audiovisiva e contraffazione marchi e condotte con un massiccio impiego di strumenti tecnici – hanno fatto emergere l’esistenza di condotte estorsive in danno anche dei rivenditori di cd e dvd pirata e di merce contraffatta, nonché la predilezione degli arrestati per il traffico di stupefacenti e di armi.
Le attività investigative, corroborate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, hanno riguardato il “clan Mazzarella”, ed, in particolare, cinque tra promotori e compartecipi, tutti giovani e violenti che, dal 2006 in avanti, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che deriva dall’appartenenza al clan, hanno estorto, con minacce e rappresaglie, ai commercianti della zona, una vera e propria percentuale sui profitti d’impresa, quasi una “ires di camorra”.
In alcuni casi, gli emissari del clan hanno imposto un “pizzo” mensile di 2.500 euro, talvolta celato dietro l’acquisto di sacchetti di plastica, rimarcando ai proprietari delle attività commerciali che parte del ricavato sarebbe andato ai “carcerati”.