Nel giro di tre minuti facevano esplodere sportelli bancomat, con congegni artigianali chiamati in gergo ‘marmotte’, semplici ma estremamente efficaci. Agivano sempre a notte fonda e nei centri cittadini. Ogni colpo era studiato a tavolino il pomeriggio prima, i dettagli pianificati.
I carabinieri di Bologna, coordinati dal Pm Francesco Caleca e dal procuratore aggiunto Valter Giovannini, hanno eseguito otto fermi a carico dei presunti componenti di una banda di ‘specialisti’ di questo genere di azioni. Sono tutti bolognesi e disoccupati, tra i 30 e i 42 anni, alcuni imparentati tra loro, e sono accusati di quattro colpi, tra l’8 e il 15 novembre tra Bergamasco, Bresciano, Veronese e Torinese. Ora sono nel carcere bolognese della Dozza per associazione a delinquere, furto aggravato e detenzione di esplosivi, in attesa della convalida.
La banda raggiungeva le località prescelte con tre auto di grossa cilindrata, acquistate all’estero e con le targhe contraffatte, due delle quali, di solito con quattro uomini a bordo, rimanevano di vedetta e facevano ‘da esca’ a eventuali inseguimenti, per lasciar agire indisturbati gli altri quattro che viaggiavano sulla terza auto, quella operativa.
Qui erano trasportati gli ordigni, le ‘marmotte’, a forma di parallelepipedo, che applicavano ai bancomat per farli saltare in aria. Tutto durava tre minuti al massimo: la ‘marmotta’, piena di polvere da sparo unita a quella di alluminio, veniva applicata allo sportello automatico. La detonazione avveniva grazie a un congegno con cui i tre uomini (uno monitorava all’esterno) trasmettevano un impulso elettrico all’esplodente. Due le azioni fallite, tra cui l’ultima, a Rivoli, nel Torinese, che ha portato alla cattura. Altre due, a Brescia e a Castelnuovo del Garda, nel Veronese, hanno fruttato rispettivamente 118 mila e 15 mila euro.
Il gruppo era strutturato e agiva con tecniche ‘paramilitari’, anche grazie ai vincoli di parentela: quattro sono nipoti e cognati di Antonio Orlando, pregiudicato 50 enne originario di Potenza morto durante un colpo andato male, a marzo 2011, mentre un altro è suo fratello. Gli otto – Giuseppe Molinelli, 34 anni di Granarolo, Stefano Di Maggio, 34 di Granarolo, Massimo Mascia, 35 di Castel Maggiore, Nicola Maltese, 30 di Granarolo, Fulvio Maggio, 35 di Castel San Pietro Terme, Saverio Orlando, 42 di Granarolo, Matteo Bonaga, 41 di Sasso Marconi e Sebastiano Corso, 37 di Bologna – si incontravano in luoghi isolati per studiare i piani d’azione e comunicavano a distanza con radiotrasmittenti veicolari. Le loro basi erano due garage, uno a Bologna, in cui nascondevano le auto ‘esca’ e una di riserva, sempre di grossa cilindrata, e l’altro a Cesano Boscone, nel Milanese, dove invece tenevano la station wagon ‘operativa’. Un’altra auto, con cui invece andavano in ‘perlustrazione’, era custodita in un locale a San Lazzaro di Savena.