La polizia di Palermo – in collaborazione con le squadre mobili di Milano, Napoli e Trapani e con gli agenti del reparto prevenzione crimine della Sicilia occidentale – ha eseguito 18 misure cautelari a carico, tra gli altri, di esponenti mafiosi del clan di Brancaccio accusati di associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga e possesso illegale di armi.
L’operazione, denominata Zefiro, ricostruisce la vita criminale di uno dei più importanti mandamenti palermitani, le sue attività economiche e i contatti con altre organizzazioni criminali. Uomo di spicco del clan è Natale Bruno, cresciuto nella scuola dei fratelli Graviano, tanto che i boss di Brancaccio andavano in giro a Milano con la sua auto.
La polizia è riuscita a ricostruire la fitta rete di rapporti tra la mafia palermitana e la criminalità organizzata di altre zone della Sicilia e dell’Italia. Al centro delle attività c’era la richiesta del pizzo, con imprenditori talmente spaventati che si recavano spontaneamente da boss Natale Bruno per “mettersi a posto”. E lui rispondeva, come hanno dimostrato le intercettazioni: “Al suo buon cuore”.
I commercianti di Palermo sapevano dove andare per “mettersi in regola” con i pagamenti del pizzo: in un magazzino di via Gaetano Di Pasquale 8, dove c’è il quartier generale del boss Natale Bruno. Ripreso dalle telecamere, un commerciante di casalinghi che aveva trovato Attak nei lucchetti del proprio negozio, si è sentito dire dal boss: “Al tuo buon cuore, attenzione. Non stiamo chiedendo niente… A Pasqua e Natale, quello che volete fare”. E il commerciante pagò.
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Nel suo quartier generale, il boss di Brancaccio rimproverò anche con forza Giuseppe Furitano, reo di aver intascato parte del pizzo raccolto. Furitano per discolparsi fece l’elenco dei negozi e delle botteghe che avevano pagato. “Molti di questi esercizi li abbiamo individuati e nei prossimi giorni sentiremo i titolari”, ha detto Nino De Santis, dirigente dello Sco.
“Natale Bruno, nuovo capomafia di Palermo, è stato l’uomo che ha continuato l’attività di Cesare Lupo, arrestato nel 2011. È lui che ha proseguito nell’attività di sostentamento delle famiglie mafiose. I metodi sono sempre quelli tradizionali con l’imposizione del pizzo, le intimidazioni e lo spaccio di droga”, ha detto Leonardo Agueci, procuratore capo di Palermo, commentando l’operazione. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Leonardo Agueci e da i pm Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli ed Ennio Petrigni.
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