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Truffe allo Stato dietro le emergenze ambientali| Tra gli indagati anche un ex direttore del Ministero

Per associazione a delinquere, truffa ai danni dello Stato, tentata corruzione, concussione e abuso d’ufficio legati ai finanziamenti statali assegnati per la gestione delle emergenze ambientali nei siti di interesse nazionale (Sin) sono indagate 26 persone, tra le quali anche un ex direttore del ministero dell’Ambiente.

L’indagine, partita da una segnalazione alla Procura di Udine sul denaro erogato in un decennio per lo stato di emergenza del sito di interesse nazionale della Laguna di Grado e Marano, è poi confluita in una inchiesta analoga aperta a Roma. Ne è emersa l’esistenza di un’associazione, costituita da più persone, che avrebbe concepito e alimentato lo stato di emergenza ambientale al solo scopo di ottenere denaro pubblico dal ministero del Tesoro, apparentemente finalizzato alle bonifiche, ma sostanzialmente utilizzato per alimentare e mantenere l’apparato organizzativo.

In pratica, secondo la magistratura, i presunti problemi ambientali sarebbero stati lo strumento per pilotare cospicui finanziamenti statali verso società appositamente costituite in cambio di utilità consistenti per lo più nell’assunzione del personale di volta in volta segnalato da vari interlocutori, nonché nell’assegnazione di incarichi di progettazione da destinare sempre ai soliti amici.

Ideatore e promotore del sistema sarebbe stato Gianfranco Mascazzini, 75 anni di Monza, già direttore generale del ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, nonché membro del comitato tecnico scientifico del commissario delegato per l’emergenza socio economico ambientale della Laguna di Grado e Marano e consulente di Sogesid, la società in-house del ministero dell’Ambiente.

Tra gli altri indagati che stanno ricevendo in queste ore gli avvisi di garanzia, nel Nordest e a Roma, figurano i tre commissari delegati che si sono succeduti nei 10 anni di commissariamento per l’emergenza socio-economico ambientale della Laguna di Grado e Marano, Paolo Ciani, Gianfranco Moretton e Gianni Menchini, insieme ai soggetti attuatori: Dario Danese e Giorgio Verri. Indagati pure Francesco Sorrentino, già ingegnere capo del Genio civile di Gorizia, in qualità di responsabile del procedimento, e la dirigente dell’Arpa di Udine Marta Plazzotta.

L’inchiesta si è allargata fino al Veneto, dove gli avvisi sono stati recapitati tra gli altri al presidente del Cda del Consorzio Venezia Nuova e di Thetis srl Giovanni Mazzacurati. Nell’indagine sono finite anche le aziende Tethis (in cui risultano indagati l’ad Maria Brotto e l’ex responsabile della divisione ingegneria dell’ambiente e del territorio Andrea Barbanti), lo studio Altieri (l’ad Guido Zanovello), e la Sviluppo Italia sas (Simone Fassina e Vito Antonio Ardone). Tra i 26 indagati anche l’avvocato dello Stato a Venezia Giampaolo Schiesaro e consulente del ministero per la tematica delle transazioni ambientali.

Travolti dallo scandalo anche alcuni funzionari dell’Icram, Massimo Gabellini e Silvestro Greco, le ricercatrici dell’Ispra Antonella Ausili ed Elena Romano, oltre ai vertici di Sogesid: il direttore generale Fausto Melli, il presidente del cda e direttore generale Vincenzo Assenza, il commissario Franco Pasquino e la dipendente Giorgia Scopece. Completa il quadro degli indagati Raffaele Greco, fratello del funzionario dell’Icram e presidente della Nautilus di Vibo Valentia, società a cui erano state affidate le attività di caratterizzazione della laguna, costata circa 4 milioni di euro, ma rimasta priva di validazione.

In pratica, secondo la magistratura, i presunti problemi ambientali sarebbero stati lo strumento per pilotare cospicui finanziamenti statali verso società appositamente costituite in cambio di utilità consistenti per lo più nell’assunzione del personale di volta in volta segnalato da vari interlocutori, nonché nell’assegnazione di incarichi di progettazione da destinare sempre ai soliti amici.

Secondo i magistrati, promettendo denaro e commesse sia al commissario delegato che all’Ispra, alimentava il sistema clientelare, conferendo arbitrariamente incarichi pagati con denaro pubblico, astrattamente destinato a risolvere problemi ambientali che in realtà venivano reiterati e garantiti a soggetti che a lui dovevano “supina obbedienza”. E “si creava una corte di persone di fiducia la cui presenza in qualità di esperti e collaboratori aveva solo la funzione di consentirgli una gestione incontrastata del territorio”.

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