Nel 2013 al Sud i decessi hanno superato le nascite. Un fenomeno così grave si era verificato solo nel 1867 e nel 1918 cioè alla fine di due guerre, la terza guerra d’Indipendenza e la prima Guerra Mondiale. I dati, per nulla confortanti, sono contenuti nel rapporto dello Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2014 , che sottolinea come “i nati al Sud hanno toccato il minimo storico ovvero 177mila, il numero più basso dal 1861”.
Secondo il rapporto Svimez, il Sud sarà interessato nei prossimi anni “da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili” e nei prossimi 50 anni il Mezzogiorno è destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti.
Secondo l’Istituto al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443mila (il 5,8% del totale) a 1 milione 14mila (il 12,5% del totale), cioè il 40% in più solo nell’ultimo anno.
Secondo il rapporto, in Italia, dal 2008 al 2012, sono aumentate del 7% le famiglie in stato di “deprivazione materiale severa“, cioè che non riescono, ad esempio, a pagare l’affitto o il mutuo, fare una vacanza di una settimana una volta l’anno fuori casa, pagare il riscaldamento, fronteggiare spese inaspettate, e che magari non hanno l’automobile, la lavatrice, il telefono, la tv, e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni due giorni. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione 150mila famiglie rispetto al 2007.
Lo Svimez stima per il 2014 un Pil nazionale in calo dello 0,4%. Una previsione più pessimista di quanto stabilito dal Def (-0,3%). Se queste stime saranno confermate, il 2014 sarebbe il settimo anno di recessione del Sud, recessione che – secondo Svimez – dovrebbe confermarsi anche nel 2015 con un Pil meridionale in calo dello 0,7%.
Per il direttore dello Svimez Riccardo Padovani “dopo il fallimento delle politiche di austerità, che hanno contribuito all’aumento delle disparità tra aree forti ed aree deboli dell’Ue, è giunto il momento di mettere in campo una strategia di sviluppo nazionale, che ponga al centro il Mezzogiorno, e sia capace di coniugare un’azione strutturale di medio-lungo periodo, fondata su alcuni ben individuati drivers di sviluppo tra loro strettamente interconnessi, con un “piano di primo intervento” da avviare con urgenza.
Secondo Padovani c’è un “intreccio perverso tra crisi socio-economica e demografia. Il profondo divario tra le aspettative di realizzazione personale e professionale e le concrete occasioni di impiego qualificato sul territorio, soprattutto delle nuove generazioni, ha determinato negli anni Duemila massicci flussi di emigrazione, che la crisi, malgrado il deterioramento delle occasioni di lavoro nel Centro-Nord, non ha interrotto. Questa perdita di popolazione, per il 70% (circa mezzo milione), ha riguardato i giovani, di cui poco meno del 40% (188 mila) laureati. In definitiva, se questa tendenza alla perdita di peso demografico non sarà sollecitamente contrastata, il Mezzogiorno rischia uno ‘tsunami’ dalle conseguenze sociali ed economiche insostenibili. In base alle previsioni Istat, infatti, alla fine del prossimo cinquantennio, il Sud avrà perso 4,2 milioni di abitanti, oltre un quinto della sua popolazione attuale, rispetto al resto del Paese che ne guadagnerà, invece, 4,6 milioni. La perdita interesserà tutte le classi di età più giovani, con una conseguente erosione della base della piramide dell’età, che risulterà rovesciata rispetto a quella del Centro-Nord”.