Un anno fa, il 27 ottobre 2013, moriva Lou Reed, poeta del rock e storico leader dei Velvet Underground: l’artista newyorkese si è spento all’età di 71 anni a causa di complicazioni avute in seguito al trapianto di fegato che aveva subito qualche mese prima.
Reed narrava storie di aperta dipendenza dalle droghe in epoca di facili censure, costellava il suo universo poetico di spacciatori, transessuali, prostitute e personaggi da zona grigia, discuteva tranquillamente di perversioni sessuali senza porsi limiti. Difficile da incasellare, Lou Reed. Di famiglia benestante, sceglie senza costrizioni di vivere a fondo la New York al limite descritta poi nelle sue canzoni. Bisessuale dichiarato, da giovane rimase profondamente segnato dalla terapia dell’elettroshock subita, praticatagli per “combattere” la sua bisessualità.
Le sue esperienze di vita gli permisero di sviluppare un tratto poetico molto particolare e forse unico nell’ambito rock. Da molti considerato come l’anticipatore di certe tendenze, glam e punk su tutte, ha generato almeno tre album fondamentali da solista. Quel “Transformer” prodotto da David Bowie e Mick Ronson che coniuga la sua arte ambigua con il glam rock imperante in quegli anni (era il 1972).
In un solo album almeno quattro canzoni capolavoro: “Walk on The Wild Side”, “Perfect Day”, “Satellite of Love” e “Vicious”. Ispirazione proseguita con il seguente “Berlin”, uscito l’anno successivo e concept album sulle vicende di una coppia di amanti sullo sfondo di una Berlino decadente. In tanti lo hanno definito uno degli album più tristi mai pubblicati, ma la title-track, le due versioni di “Caroline Says” e “The Bed” fanno parte a pieno titolo dei suoi momenti migliori. Chiude il trittico “Metal Machine Music”, coniugazione sperimentale di rock, noise, rumoristica e musica concettuale d’avanguardia.
Nel 2011 la sua ultima opera al fianco dei Metallica, quel “Lulu” dai risultati alterni. Doppio album lungo e prolisso, in diversi episodi ha risentito delle differenze enormi di genere, stile e approccio. Ma in alcuni casi la magia è scattata producendo ottime canzoni come la potente “Iced Honey”, l’evocativa “Brandenburg Gate” e la conclusiva “Junior Dad”. Può essere considerato il testamento di una delle figure più influenti della storia del rock e della musica intera, il cui ricordo vivrà in eterno tra i solchi dei suoi capolavori.